Amour est tout
Vorrei poter dire che seguivo i Love Is All da un paio d'anni. Vorrei pavoneggiarmi, come facciamo tutti di solito, e raccontarvi di quando mi regalorono il loro il primo sette pollici, subito dopo averli visti dal vivo in Svezia. Ce li filavamo in quattro.
La triste verità è che purtroppo non ricordo nulla di quel concerto. Ero lì quando suonavano, e come spesso succede non credo d'averci capito molto.
Anzi, mi ero proprio dimenticato dei Love Is All, nonostante Indiepop.it non mancasse di continuare a segnalarli (qui e qui) e nonostante Rough Trade li avesse inclusi tra i classici nella propria monumentale e fondamentale raccolta.
E così, come per tutto il resto del mondo, solo quando Pitchfork all'inizio del mese scorso ha dato al loro album d'esordio (che non si capisce nemmeno se sia già uscito) un quasi 9, e poi li ha piazzati nella lista dei migliori dischi del 2005 alla posizione numero 16, davanti a gente come Clientele e Clap Your Hands Say Yeah, per esempio, ho cominciato a ricordarmi di quel nome, e a chiedermi dove l'avessi già sentito.
Del disco parlerò quando mi arriva (data di uscita slittata al 24 gennaio), anche se come molti di voi l'ho già scaricato e trovato fenomenale. Tutto quello che si legge in giro ci sta: lo-fi, Life Without Buildings, frenesia, Slits, ansia, Yeah Yeah Yeahs, riverberi, Bearsuit, sassofoni...
Vorrei esserci arrivato da solo, ma poi mi dico che non me ne frega niente. Questo disco adesso è qui e suona esattamente come dice la band nella presentazione su MySpace: "Sounds Like: Confusion".
Ci metti un po' a capirlo, non perché sia complicato, ma perché sembra facile fraintenderlo ("Influences: Misunderstandings"). Dietro la sua ruvidezza si sottrae. Poi all'improvviso senti l'eccitazione crescere e ti strappi la maglietta.
Se volete un esempio di come mi sento, ecco un piccolo video live che mi ha fatto sorridere spesso in questi giorni.
Vorrei poter dire che seguivo i Love Is All da un paio d'anni. Vorrei pavoneggiarmi, come facciamo tutti di solito, e raccontarvi di quando mi regalorono il loro il primo sette pollici, subito dopo averli visti dal vivo in Svezia. Ce li filavamo in quattro.
La triste verità è che purtroppo non ricordo nulla di quel concerto. Ero lì quando suonavano, e come spesso succede non credo d'averci capito molto.
Anzi, mi ero proprio dimenticato dei Love Is All, nonostante Indiepop.it non mancasse di continuare a segnalarli (qui e qui) e nonostante Rough Trade li avesse inclusi tra i classici nella propria monumentale e fondamentale raccolta.
E così, come per tutto il resto del mondo, solo quando Pitchfork all'inizio del mese scorso ha dato al loro album d'esordio (che non si capisce nemmeno se sia già uscito) un quasi 9, e poi li ha piazzati nella lista dei migliori dischi del 2005 alla posizione numero 16, davanti a gente come Clientele e Clap Your Hands Say Yeah, per esempio, ho cominciato a ricordarmi di quel nome, e a chiedermi dove l'avessi già sentito.
Del disco parlerò quando mi arriva (data di uscita slittata al 24 gennaio), anche se come molti di voi l'ho già scaricato e trovato fenomenale. Tutto quello che si legge in giro ci sta: lo-fi, Life Without Buildings, frenesia, Slits, ansia, Yeah Yeah Yeahs, riverberi, Bearsuit, sassofoni...
Vorrei esserci arrivato da solo, ma poi mi dico che non me ne frega niente. Questo disco adesso è qui e suona esattamente come dice la band nella presentazione su MySpace: "Sounds Like: Confusion".
Ci metti un po' a capirlo, non perché sia complicato, ma perché sembra facile fraintenderlo ("Influences: Misunderstandings"). Dietro la sua ruvidezza si sottrae. Poi all'improvviso senti l'eccitazione crescere e ti strappi la maglietta.
Se volete un esempio di come mi sento, ecco un piccolo video live che mi ha fatto sorridere spesso in questi giorni.
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