Is there a hand to take hold of the scene?
I dischi dell'estate di polaroid (5)
Da quando sono rientrato a Bologna il cielo sembra ottobre. Prima che si chiuda il capitolo Estate 2007, però, voglio conservare ancora un paio di piccole istantanee dei dischi che mi hanno fatto compagnia in queste settimane.
Mentre ero via, una delle prime cose che ho pensato ascoltando The Stage Names, quarto album dei texani Okkervil River, era che non vedevo l'ora di ritrovarmi presto in qualche locale di quelli buoni, dove sarebbe successo il finimondo appena risuonava l'attacco di basso e batteria di A Hand to Take Hold of the Scene. Lo so, non è un pensiero molto profondo, né una recensione illuminata, ma stavo già scalpitando e battendo le mani mentre guidavo, e non ero nemmeno arrivato alla seconda strofa. Poi sono arrivati anche i fiati e si è spalancato tutto.
Nella voce di Will Sheff (uno che i testi li scrive in prosa e con le parentesi!) vibra una tale passione che mi si accappona la pelle a ogni verso. Canzoni che grondano così tante parole e storie da far sembrare gli Shins dei poeti ermetici. Non voglio descrivere gli Okkervil River altro che come una grande band "classica", non soltanto rock o folk, in grado di alzarsi sopra il proprio tempo e creare qualcosa di potente. Chi li ha visti dal vivo negli ultimi passaggi dalle nostre parti sa di cosa sono capaci.
[Da segnalare come Pitchfork approfondisca il "concept" alla base dell'album, su vita del musicista e rapporto vita/arte.]
>>>(mp3): A Hand To Take Hold of The Scene
Un disco da ascoltare abbronzati. Dopo non so.
Non si può certo dire che Places Like This, il nuovo album degli Architecture In Helsinki, sia del tutto riuscito. L'esuberanza del precedente In Case We Die continua a sembrarmi qui dissolta in un marasma senza capo né coda. Per non parlare delle recenti esibizioni dal vivo (Barcellona, Pukkelpop), di cui si leggono in rete peste e corna.
Eppure ho cominciato a entrare sempre più in sintonia con il funk contaminato che pervade queste dieci tracce a mano a mano che il colore della mia pelle si faceva più bruno e il sole si levava alto sullo zenith.
Nessuno ce l'ha detto, ma la band australiana è stata sostituita da una squadra di Umpa Lumpa che esegue cover dei Talking Heads sotto l'effetto di pesanti allucinogeni e gas esilarante, correndo a perdifiato nel cuore della foresta equatoriale. Non ci si sta dietro, ma è parecchio divertente e ogni tanto fa bene ritrovarsi così selvaggi.
Il video di Hold Music e qualche altro mp3 li avevo messi qui.
I dischi dell'estate di polaroid (5)
Da quando sono rientrato a Bologna il cielo sembra ottobre. Prima che si chiuda il capitolo Estate 2007, però, voglio conservare ancora un paio di piccole istantanee dei dischi che mi hanno fatto compagnia in queste settimane.
Mentre ero via, una delle prime cose che ho pensato ascoltando The Stage Names, quarto album dei texani Okkervil River, era che non vedevo l'ora di ritrovarmi presto in qualche locale di quelli buoni, dove sarebbe successo il finimondo appena risuonava l'attacco di basso e batteria di A Hand to Take Hold of the Scene. Lo so, non è un pensiero molto profondo, né una recensione illuminata, ma stavo già scalpitando e battendo le mani mentre guidavo, e non ero nemmeno arrivato alla seconda strofa. Poi sono arrivati anche i fiati e si è spalancato tutto.
Nella voce di Will Sheff (uno che i testi li scrive in prosa e con le parentesi!) vibra una tale passione che mi si accappona la pelle a ogni verso. Canzoni che grondano così tante parole e storie da far sembrare gli Shins dei poeti ermetici. Non voglio descrivere gli Okkervil River altro che come una grande band "classica", non soltanto rock o folk, in grado di alzarsi sopra il proprio tempo e creare qualcosa di potente. Chi li ha visti dal vivo negli ultimi passaggi dalle nostre parti sa di cosa sono capaci.
[Da segnalare come Pitchfork approfondisca il "concept" alla base dell'album, su vita del musicista e rapporto vita/arte.]
>>>(mp3): A Hand To Take Hold of The Scene
Un disco da ascoltare abbronzati. Dopo non so.
Non si può certo dire che Places Like This, il nuovo album degli Architecture In Helsinki, sia del tutto riuscito. L'esuberanza del precedente In Case We Die continua a sembrarmi qui dissolta in un marasma senza capo né coda. Per non parlare delle recenti esibizioni dal vivo (Barcellona, Pukkelpop), di cui si leggono in rete peste e corna.
Eppure ho cominciato a entrare sempre più in sintonia con il funk contaminato che pervade queste dieci tracce a mano a mano che il colore della mia pelle si faceva più bruno e il sole si levava alto sullo zenith.
Nessuno ce l'ha detto, ma la band australiana è stata sostituita da una squadra di Umpa Lumpa che esegue cover dei Talking Heads sotto l'effetto di pesanti allucinogeni e gas esilarante, correndo a perdifiato nel cuore della foresta equatoriale. Non ci si sta dietro, ma è parecchio divertente e ogni tanto fa bene ritrovarsi così selvaggi.
Il video di Hold Music e qualche altro mp3 li avevo messi qui.
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