The band and the light
Metà delle persone che leggeranno queste righe hanno già ascoltato questo disco da un mese, e quindi (con buone ragioni) non sono affatto interessate a quello che ne penso. L'altra metà è quella che dirà che parlo di questo disco soltanto perché "sono amico della band".
Questo giusto per inquadrare la Scena fuori di qui. Poi dimenticarsela alle spalle, premere play, e andare incontro a queste canzoni con il mio sorriso migliore.
Perché quando ho sentito per la prima volta Oh Dear!, il nuovo album dei Settlefish, ho avvertito quel fremito sotto pelle che, nelle occasioni fortunate, ci lascia sperare di intuire qualcosa oltre la musica. Ci fa saltare via dalla sedia e ballare nella stanza, cantando parole che ancora non conosciamo. Ci fa intuire gioia, ciò che nella musica spero sempre di trovare.
Oh Dear! non è solo il disco più Pop dei Settlefish, è anche il loro disco più luminoso. Non intendo semplicemente solare, o più aperto. Intendo dire che i riferimenti più diffusi e noti (Modest Mouse, At The Drive-In, Joan Of Arc) sembrano qui presi aggiungendo alla musica uno scintillio differente, riflessi più smaglianti. L'energia è al massimo, ma non è mai forza bruta, non si ripiega mai su sé stessa. Diventa stile.
Già il modo con cui il canto di battaglia dell'apertura di Head Full of Dreams riesce a scrollarsi di dosso un certo umore minore ("... a twisted form of shapes!...") segna lo scarto. Balloons è una mattina di primavera, e nello sciorinare le sue immagini lascia emergere quello che sembra uno dei temi ricorrenti tra le righe del disco: l'infanzia e l'adolescenza che stanno per spiccare il volo.
Poi arriva il piano elettrico di Summer Drops, così Death Cab For Cutie come i Settlefish non erano mai stati. La melodia morbida ha quello stacco al centro che non te la levi più dalla testa. E il fragore di tutte le chitarre cariche dopo il coro.
I Go Quixotic! scalpita, mi fa pestare i piedi ("I guess we all fall in a statical category") ed è solo il vigoroso preludio alla perla di questo album, la traccia che da tempo conoscevamo già dai live dei Settlefish, The Boy and the Light, dal passo quasi british, pronta per l'heavy rotation e per ritagliarsi un posto fisso in pista. "Give me light"!
Per ora mi fermo qui, nemmeno a metà disco. C'è molto altro dentro i quaranta minuti di Oh Dear!. Scopritelo da voi se incrocerete la band nel tour che sta per cominciare (venerdì insieme ai CUT al Vox di Nonantola, e poi release party a Bologna il primo dicembre).
Metà delle persone che leggeranno queste righe hanno già ascoltato questo disco da un mese, e quindi (con buone ragioni) non sono affatto interessate a quello che ne penso. L'altra metà è quella che dirà che parlo di questo disco soltanto perché "sono amico della band".
Questo giusto per inquadrare la Scena fuori di qui. Poi dimenticarsela alle spalle, premere play, e andare incontro a queste canzoni con il mio sorriso migliore.
Perché quando ho sentito per la prima volta Oh Dear!, il nuovo album dei Settlefish, ho avvertito quel fremito sotto pelle che, nelle occasioni fortunate, ci lascia sperare di intuire qualcosa oltre la musica. Ci fa saltare via dalla sedia e ballare nella stanza, cantando parole che ancora non conosciamo. Ci fa intuire gioia, ciò che nella musica spero sempre di trovare.
Oh Dear! non è solo il disco più Pop dei Settlefish, è anche il loro disco più luminoso. Non intendo semplicemente solare, o più aperto. Intendo dire che i riferimenti più diffusi e noti (Modest Mouse, At The Drive-In, Joan Of Arc) sembrano qui presi aggiungendo alla musica uno scintillio differente, riflessi più smaglianti. L'energia è al massimo, ma non è mai forza bruta, non si ripiega mai su sé stessa. Diventa stile.
Già il modo con cui il canto di battaglia dell'apertura di Head Full of Dreams riesce a scrollarsi di dosso un certo umore minore ("... a twisted form of shapes!...") segna lo scarto. Balloons è una mattina di primavera, e nello sciorinare le sue immagini lascia emergere quello che sembra uno dei temi ricorrenti tra le righe del disco: l'infanzia e l'adolescenza che stanno per spiccare il volo.
Poi arriva il piano elettrico di Summer Drops, così Death Cab For Cutie come i Settlefish non erano mai stati. La melodia morbida ha quello stacco al centro che non te la levi più dalla testa. E il fragore di tutte le chitarre cariche dopo il coro.
I Go Quixotic! scalpita, mi fa pestare i piedi ("I guess we all fall in a statical category") ed è solo il vigoroso preludio alla perla di questo album, la traccia che da tempo conoscevamo già dai live dei Settlefish, The Boy and the Light, dal passo quasi british, pronta per l'heavy rotation e per ritagliarsi un posto fisso in pista. "Give me light"!
Per ora mi fermo qui, nemmeno a metà disco. C'è molto altro dentro i quaranta minuti di Oh Dear!. Scopritelo da voi se incrocerete la band nel tour che sta per cominciare (venerdì insieme ai CUT al Vox di Nonantola, e poi release party a Bologna il primo dicembre).
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