Primo!
Non so se sono davvero il primo in Italia a parlare dei Broken Records - non controllo e non mi interessa - ma ormai avevo promesso in giro che il post lo chiamavo così.
È che salta fuori che la loro data al Soho Revue Bar di martedì era anche la loro prima fuori dai confini natali.
E loro sono di Edinburgo, mica troppo in là.
Piccoli, teneri cucciolotti dal musetto bagnato.
Ma torniamo un secondo al Soho Revue Bar.
È il tipo di posto in cui l'indie kid medio, che con grandissima licenza poetica interpreto per voi, si sente decisamente disorientato.
Piccolo ma lussuoso ex night club nel bel mezzo della zona luci rosse, insieme ad altri locali del quartiere come il Punk o il CC Club è usato ben più spesso come palestra per future star del pop che come vetrina indie. Questo ovviamente si riflette nei comportamenti dell'avventore standard, il quale inizia a riempire il locale al contrario: prima i tavolini con i posti a sedere, poi il bar, e infine, se proprio ormai dietro si sta stretti, nella pista da ballo di fronte al palco.
Per cui il primo in scaletta se lo meritano: canta come James Blunt, suona come James Blunt, compone patetiche ballate wannabe-strappalacrime alla James Blunt, ma si chiama Richard Walters, è BRUTTO (immaginate tipo Moby ma alto normale) e di conseguenza non se lo fila nessuno. La scena è sinceramente molto triste.
Poi tocca ai nostri eroi.
Le coordinate sono facili.
La più evidente, quella che se davvero diventeranno famosi verrà invariabilmente citata da tutti fino alla nausea, rimanda a quel gruppo canadese che comincia per A e finisce per RCADE FIRE. C'è la line-up numerosa, ci sono violini e violoncelli, la voce lamentosa e inequivocabili crescendo epici stile Rebellion (Lies) o No Cars Go. Sul loro MySpace c'è pure una foto in cui sono praticamente identici, e ci vuole un po' a rendersi conto che non c'è in mezzo anche Win Butler e soprattutto - gravissima svista tattica - nemmeno una donna.
Ma è la Scozia in realtà la vera protagonista, con le sue melodie e i suoi balli popolari spettacolarmente mescolati in una formula folk-rock che ricorda anche gli Okkervil River, ma che mantiene comunque una cifra stilistica personale, e che soprattutto quando ingrana la quinta diventa impossibile da resistere.
Avendo passato tutto il 2007 a fare gavetta nel paese natìo, dove la gente urlava "HYPE!" e poi sveniva per l'agitazione, i nostri sanno ormai perfettamente come si scoperchiano tetti e come si prende per mano una folla. Ancora non si contorcono per terra in preda a crisi mistiche come i colleghi d'oltre oceano, ma quando pestano sono inesorabili, e anche i fighettini seduti ai tavoli non possono fare a meno di alzarsi e dimenare le chiappe.
Ora è solo questione di tempo.
Infine, gli headliner si chiamavano The Heart Strings.
The Heart Strings.
Già il nome era troppo, me ne sono tornato a casa DI CORSA.
>>>(mp3): Broken Records - A Good Reason
Non so se sono davvero il primo in Italia a parlare dei Broken Records - non controllo e non mi interessa - ma ormai avevo promesso in giro che il post lo chiamavo così.
È che salta fuori che la loro data al Soho Revue Bar di martedì era anche la loro prima fuori dai confini natali.
E loro sono di Edinburgo, mica troppo in là.
Piccoli, teneri cucciolotti dal musetto bagnato.
Ma torniamo un secondo al Soho Revue Bar.
È il tipo di posto in cui l'indie kid medio, che con grandissima licenza poetica interpreto per voi, si sente decisamente disorientato.
Piccolo ma lussuoso ex night club nel bel mezzo della zona luci rosse, insieme ad altri locali del quartiere come il Punk o il CC Club è usato ben più spesso come palestra per future star del pop che come vetrina indie. Questo ovviamente si riflette nei comportamenti dell'avventore standard, il quale inizia a riempire il locale al contrario: prima i tavolini con i posti a sedere, poi il bar, e infine, se proprio ormai dietro si sta stretti, nella pista da ballo di fronte al palco.
Per cui il primo in scaletta se lo meritano: canta come James Blunt, suona come James Blunt, compone patetiche ballate wannabe-strappalacrime alla James Blunt, ma si chiama Richard Walters, è BRUTTO (immaginate tipo Moby ma alto normale) e di conseguenza non se lo fila nessuno. La scena è sinceramente molto triste.
Poi tocca ai nostri eroi.
Le coordinate sono facili.
La più evidente, quella che se davvero diventeranno famosi verrà invariabilmente citata da tutti fino alla nausea, rimanda a quel gruppo canadese che comincia per A e finisce per RCADE FIRE. C'è la line-up numerosa, ci sono violini e violoncelli, la voce lamentosa e inequivocabili crescendo epici stile Rebellion (Lies) o No Cars Go. Sul loro MySpace c'è pure una foto in cui sono praticamente identici, e ci vuole un po' a rendersi conto che non c'è in mezzo anche Win Butler e soprattutto - gravissima svista tattica - nemmeno una donna.
Ma è la Scozia in realtà la vera protagonista, con le sue melodie e i suoi balli popolari spettacolarmente mescolati in una formula folk-rock che ricorda anche gli Okkervil River, ma che mantiene comunque una cifra stilistica personale, e che soprattutto quando ingrana la quinta diventa impossibile da resistere.
Avendo passato tutto il 2007 a fare gavetta nel paese natìo, dove la gente urlava "HYPE!" e poi sveniva per l'agitazione, i nostri sanno ormai perfettamente come si scoperchiano tetti e come si prende per mano una folla. Ancora non si contorcono per terra in preda a crisi mistiche come i colleghi d'oltre oceano, ma quando pestano sono inesorabili, e anche i fighettini seduti ai tavoli non possono fare a meno di alzarsi e dimenare le chiappe.
Ora è solo questione di tempo.
Infine, gli headliner si chiamavano The Heart Strings.
The Heart Strings.
Già il nome era troppo, me ne sono tornato a casa DI CORSA.
>>>(mp3): Broken Records - A Good Reason
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