La barbara usanza di dare voti ai dischi

I miei due cents su un paio dei dischi più belli che siano usciti in questo inizio di anno in ambito indie rock:


- Spoon, Transference (Anti / Merge Records)

Nonostante Britt Daniel e soci questa volta si producano da soli e raccontino che hanno voluto lasciare ai suoni di Transference un'impronta di non finitezza, una certa aria da “live in studio”, bisogna ammettere che quindici anni di carriera non sono affatto passati invano, e giunti al settimo album ormai si sa cosa aspettarsi dalla band di Austin. Ovvio, ascoltando pezzi come il singolo Written In Reverse o la scalpitante Troubles Come Running (che ripete la gioia di una indimenticabile Sister Jack) si può anche esclamare “per fortuna!”. Tralasciando un paio di momenti più stanchi (Goodnight Laura), sono certi riff stonesiani che coinvolgono dal primo ascolto, e certi tempi medi (Out Go the Lights) che gli Spoon piegano al loro stile suadente, da rock maturo, a farci amare ancora di più una delle più solide band indie rock di questi anni.

>>>(mp3): Written In Reverse


- Owen Pallett, Heartland (Domino)

Nel recente romanzo Generation A, Douglas Coupland insiste molto sull'idea che la maggior parte della gente abbia bisogno di immaginare la propria vita come una storia per poter tollerare di viverla. A lungo andare, però, si correrebbe un rischio, quello di diventare incapaci di immaginare storie diverse, e quindi altri modi di dare un ordine al mondo. Il cantautore Owen Pallett, guarda caso canadese proprio come Coupland, nel primo album a suo nome dopo l'abbandono del marchio Final Fantasy riesce a coniugare una vicenda del tutto personale, il nascere e morire di una storia d'amore, con la creazione di un universo poetico potente e sofisticato. Tutto si gioca sullo slittamento del punto di vista: le parole passano attraverso l'oggetto amato (“I've been in love with Owen”) e alla fine il personaggio si divincola dalle mani del suo stesso autore (“The author has been removed”). Pallett ci aveva abituati a narrazioni che mescolano piani diversi, da saghe di videogiochi di ruolo giapponesi a riferimenti musicali colti come Bartók e la tradizione celtica. Questa volta sfrutta un'intera orchestra, la Filarmonica di Praga “suonata come un vecchio synth modulare”, per raggiungere una densità visionaria di grande effetto emotivo. Riferimento principale restano i voli pindarici dei Beach Boys più orchestrali, ma l'innesto discreto dell'elettronica aiuta a non far perdere di vista una bella immediatezza pop: Lewis Take Off His Shirt ricorda molto Loney Dear, e dentro Tryst with Mephistopheles riecheggiano i sodali Hidden Cameras. Heartland non manca di pretenziosità, ma l'ambizione di raccontare bene una storia vince il narcisismo.

>>>(mp3): Lewis Takes Off His Shirt

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