Can you hear secret music?

The Pastels - Slow Summits


Possono abbracciarsi due voci? O a quale altra metafora sentimentale bisognerà ricorrere per tentare di ridurre in parole il pur semplice e carezzevole movimento di una melodia? Dentro Secret Music, canzone d'apertura di Slow Summits, il nuovo album dei leggendari Pastels, la voce di Stephen Pastels si sente poco, appena nei cori in chiusura, ma succede proprio quando Katrina Mitchell canta e chiede "can you sing a song quietly?". Domanda cruciale alla quale non si tira indietro. Tra i fiati e gli archi la luce è crepuscolare, intima. Il quadro si era aperto con una descrizione piatta e un furtivo invito: "Rain is falling on an European street / Park your car outside and be discreet". E fino alla fine si restà lì, incantati dalla dolcezza ma anche da quello che sembra essere l'inestricabile nodo tra la quiete della canzone e la chiave per poter udire la musica segreta.

Tutto Slow Summits è un disco pieno di misteri senza dramma. Piccoli trascurabili misteri, la tenerezza dei rompicapi della vita adulta: "night-time colors remind me of things we used to do [...] I wanted to steal something that was already mine". La naturalezza elegante e generosa che i Pastels riescono oggi, dopo tre decenni di carriera, a distillare in forma di canzoni fa quasi commuovere. Ti viene voglia di provare una smodata benevolenza per chiunque e qualunque cosa mentre ascolti questa musica scorrere: è tutto uno sfiorarsi, uno sgranare ricordi, indovinare un passo nascosto anche nelle danze più accese, sensuali e ormai risapute. Summer Rain ripete più o meno soltanto il titolo, ma nelle infinite variazioni che tra una goccia di pioggia e l'altra riesce a insinuare, nella voglia di "toccarti attraverso i vestiti fradici", riesce ad accogliere con affetto anche l'inevitabile cupezza: "nothing will saves us from us". E poi The Wrong Light, epica come una Like A Rolling Stone da cameretta, epica come se i Pastels potessero per assurdo mai suonare in qualche modo epici, rincara la dose: "we are shadows of the past".

Può anche darsi che Slow Summits tenda al maestoso, come per esempio nello strumentale After Image, notturno e autunnale, o nella romanticissima Kicking Leaves, entrambe intrise di una poesia alla Clientele. Ma è un maestoso per modo di dire, più che altro sono quegli arrangiamenti sontuosi di Jon McEntire a regalare certe sfumature classiche (Bacharach?) o addirittura Stereolab, come nella coda dell'eccezionale singolo Check My Heart. È un maestoso di incanti da un attimo appena, sfuggenti: "aeroplanes in the summertime / low in the sky / I could never say goodbye". È un maestoso che tu ed io, se ci guardiamo negli occhi, stanchi, stropicciati e dimenticati, riusciamo a vedere tutto in un colpo solo: "You shine a light in my soul / I wanted a lifetime not just to fall in your arms". E per questo trovo magnifico che l'ultima parola del disco sia Come To The Dance: un altro invito da accettare senza esitazioni.



(mp3) The Pastels - Night Time Made Us







post scriptum: Non sono riuscito a mettere nel post tutta una sere di informazioni utili e forse necessarie intorno a questo disco che si reperiscono in tutte le recensioni, come per esempio che si tratta del primo e vero proprio album della band scozzese dopo sedici anni; o che dentro ci trovate illustrissimi ospiti come Norman Blake dei Teenage Fanclub, i To Rococo Rot, i Tenniscoats, Gerard Love, Annabel Wright della formazione originale dei Pastels; né ho citato i dischi precedenti della band, tessendo una rete di possibili rimandi storici, né sono riuscito ad aggiungere una citazione dal gran bell'articolo di Kip Berman dei Pains of Being Pure at Heart sui fraintendimenti del twee-pop quando si parla dei Pastels.

Ma alla fine in un post non poteva starci tutto, e soprattutto non posso concepire che si possa parlare di questo disco come una scheda di Wikipedia e non in termini di semplice, aperta e totale lettera d'amore.

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