La mia prima utopia musicale del 2014 è vedere Kong dei Notwist diventare la nuova Such Great Heights. Sogno di ascoltarla inesorabilmente, ineluttabile e fatale, per i prossimi dieci anni sulla pista di ogni locale rock (sempre che i locali rock esistano ancora tra dieci anni). Kong è la terza traccia del nuovo disco della band tedesca, Close To The Glass, il primo un po' a sorpresa sulla storica Sub Pop (ancora a proposito di Postal Service). La label lo presenta spiegando che si tratta dell'omaggio dei Notwist "to the ’90s indie-pop", ed è uno di quei pezzi in cui i Notwist fanno saltare ancora tutte le corde delle chitarre. Batteria che rimbalza senza tregua e un organo lì in alto che punta alla nuca. La voce passa da un falsetto infantile e sognante all'invocazione "Are you coming? Are you coming?", e ti fa salire il cuore in gola mentre la pioggia non si ferma e non si vuole più fermare. Vi suonerà più semplice di tante altre loro canzoni "serie", ma a mio parere è una delle cose più potenti che i fratelli Acher abbiano mai scritto.
Il resto dell'album ha un po' di alti e bassi, momenti in cui le atmosfere cupe e il gusto per la ripetizione sembrano perdere quel senso di dolorosa necessità che è spesso nei suoni dei Notwist (Run Run Run, oppure i quasi nove minuti di Lineri). In altri passaggi l'elettronica si fa ipnotica (From One Wrong Place To The Next), ma poi tutto si riscatta nelle percussioni freddissime della title track, una specie di fuga a perdifiato senza lieto fine, o quando entrano le chitarre, tipo in Casino oppure Seven Hour Drive, che al di là dell'evidente allusione ai My Bloody Valentine riporta alla mente (e non solo per il titolo) proprio i Notwist dell'inno Day 7.
Ma poi, arrivato alla fine del disco, l'istinto è quello di ritornare subito alla traccia numero tre, al suo ritmo frenetico e al suo animo disperato e affranto che chiede soltanto di risorgere, Kong.
(mp3) The Notwist - Kong
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