Tardivo ma appassionato report dell'Handmade Festival 2014
Un festival è come un treno. Ha una partenza, un arrivo, una tabella con gli orari, le band sui palchi come tanti vagoni. A mano a mano che il treno procede raccoglie sempre più gente, e a ogni fermata incontri qualcuno che conosci. Saluti, abbracci, si balla vicini, un’altra stazione. Un lungo, ritmato, a volte faticoso, quasi sempre divertente viaggio in treno in forma di musica. L’Handmade Festival 2014 per me è stato un po’ così: un grandioso e inarrestabile viaggio dal palco piccolo a quello grande, all'angolo Musica Nelle Valli, una sosta al bar per i rifornimenti e poi si riparte. E intanto la gente saliva, arrivava a frotte, con i plaid, i palloni, tanti passeggini, la perdevi sul prato, la ritrovavi davanti agli ampli. Dicono che alla fine fossimo quasi quattromila. Ma ci stavamo tutti, era una giornata splendida, il sole era alto e forte quando His Clancyness ha acceso i motori, e una moltitudine di stelle scintillava limpida quando i Massimo Volume hanno spento l’ultimo fischio delle loro chitarre. In mezzo c’è stato davvero di tutto, e quasi tutto mi ha regalato un sorriso. È stata, bisogna dirlo, soprattutto una magnifica festa e ci sono un sacco di belle polaroid che voglio ricordarmi qui.
Per primo, il set devastante dei californiani POW! a metà pomeriggio, roba da far sanguinare le orecchie: chitarra incandescente, un paio di vecchi synth analogici, un batterista di marmo incazzato che prima di cominciare si è arrotolato la manica sinistra, quella del braccio che picchiava il rullante, e come fosse un cecchino ha cominciato a pestare preciso e categorico. Non saprei dire se a quel livello di aggressività quella musica si definisca ancora garage rock, ma senza ombra di dubbio ci ha scorticato da capo a piedi. Loro sembravano tutti personaggi di qualche fumetto tipo Eightball, e la più adorabile era l'ossigenata tastierista Melissa Blue, fotografata da chiunque: doveva essere appena uscita da un video dei B-52s o forse da qualche b-movie Anni Cinquanta con il mostro di cartapesta in agguato.
Altrettanto adorabili, ma più che altro per il loro essere più naïf e cialtroni, sono stati i francesi La Femme. L'unico vero ritardo del treno Handmade è stato il loro interminabile ed enigmatico cambio palco, peraltro eseguito con una flemma clamorosa. Attacco questo cavo alla tastiera? Ma no, dai, mi accendo un'altra sigaretta sfregando un fiammifero sulla cintura, con un intenso sguardo parigino verso la notte. Poi finalmente hanno cominciato a suonare, e quell'eleganza, che su Psycho Tropical Berlin ci era sembrata rimandare a qualcosa degli Stereolab, dal vivo si è tramutata in un'allegra leggerezza Stereo Total. Ma alla fine le canzoni sono così divertenti, così "PlasticBertrandeggianti", e la maliziosa Clémence Quélennec ballava come una gatta con una tale grazia, che non si poteva non voler bene anche a loro.
La reunion dei My Awesome Mixtape è stata esattamente come ce la aspettavamo: sudata, ballata, cantata dall'inizio alla fine e soprattutto troppo, troppo breve. Una delle poche band a cui non posso dire di no quando chiede di battere le mani letteralmente ogni tre minuti. Entrati visibilmente nervosi, credo si siano lasciati poi convincere dai cori che hanno sentito arrivare dal pubblico sin dal primo pezzo e che sono poi esplosi, com'era prevedibile, sull'indimenticato PAM-PARAM-PAPPARAPPA-PAPAM. Quando Maolo ha mollato gli occhiali sulla tastiera per piegarsi sul ritornello di The Giant Squid è stato il segnale e hanno ingranato la quarta. Un paio di stage diving di Scaglia più tardi era già tutto finito. Abbracci e sorrisi e un filo di commozione. Menzione d'onore ad Andrea "Mancho" Mancin, che ha fatto il doppio turno, e si è ritrovato dietro la batteria sia nei MAM, sia nella formazione "allargata" di Machweo.
Proprio Machweo (che all'Handmade ho scoperto di avere sempre pronunciato nella maniera sbagliata) è stata una delle migliori sorprese di questa edizione. Lo conoscevo soltanto come ottimo (e giovanissimo!) produttore, ma con una band intorno l'impatto dal vivo è stato davvero di un altro livello. Oltre a Mancho (Giardini di Mirò), lo accompagnano infatti Andrea "Sollo" Sologni dei Gazebo Penguins e Daniele Rossi dei Threelakes. Balearico ma senza concedersi molto a derive più ambient, anzi spingendo di percussioni e bassi, ogni tanto lasciava esplodere una pura cassa dritta che era un piacere. Nettamente in crescita.
Cassa dritta ma con più soul per i torinesi DID. Avevo già visto cosa sanno fare dal vivo, ma nella maniera in cui rendono l'ultimo Bad Boys hanno quasi raggiunto la forma perfetta. Batteria che si sovrappone a drum machine, graffi di chitarra e tantissimo vocoder ed effetti pennellati lì per lì sulla voce. Il disco è uscito in inverno ma questo suono, soprattutto dal vivo, conferma di portarsi dentro una lunga estate. Set ideale per la conclusione del rovente pomeriggio.
Nel palco Musica Nelle Valli ho ritrovato sempre a livelli strepitosi Bob Corn. Non lo sentivo da un po' ed è sempre un piacere ritrovarlo insieme al suo bicchiere di lambrusco, la sua voce schietta, i suoi arpeggi sentimentali e le sue lunghe storie tra una canzone e l'altra. Insomma, tutto il suo folk punk che ci ha scaldato il cuore per anni. Ha suonato una delle mie preferite, che non faceva da un sacco di tempo, You're My Island, e già questo mi sarebbe bastato. Ma poi, come gran finale, ha mollato chitarra e microfono ed è venuto in mezzo a noi, seduti sull'erba, per improvvisare una cover di Zoo di Setti braccia al cielo: commovente.
I Chow forse non li amerò (ancora) quanto i vecchi Tunas, ma bisogna riconoscere che Frabbo e compagni dimostrano sempre di sapere cosa vuol dire fare del Rock con la R maiuscola. Che sia garage, che vada verso la psichedelia, oppure verso qualcosa di più hard rock, come mi pare intenda fare questo nuovo progetto, non si può restare indifferenti (né fermi) davanti a un loro concerto. La cover degli Hüsker Dü sul finale è stata la ciliegina di un set a dir poco poderoso.
E per chiudere una nota in pieno conflitto d'interessi, ma che ci tengo comunque a fare. Se dico che mi è piaciuto il live dei Joyce In Pola immagino di non sorprendere nessuno, dato che escono pure per We Were Never Being Boring. Ma concerto dopo concerto, mi piace questo loro scrollarsi di dosso ogni residuo di indiepop più prevedibile, e di puntare a un suono kiwi in qualche modo più robusto, assolato, colonna sonora per surfisti romantici. Le armonie vocali restano il loro marchio di fabbrica ma a Guastalla le chitarre hanno preso il sopravvento. Se le prossime uscite saranno tutte all'altezza dell'inedita Beauty Out Of Sorrow, presentata in anteprima in chiusura di scaletta, non vedo l'ora di ascoltare dove andranno nel prossimo futuro i Joyce In Pola.
Complimenti a tutti i régaz dell'organizzazione: l'Handmade 2014 ha mostrato ancora una volta come si mette "festa" dentro "festival". Hanno tenuto fede al "fatto a mano" della denominazione, pensando a cosa ci piacerebbe nella nostra festa ideale, e l'Handmande si è confermato un posto dove si sta davvero bene, ascoltando un sacco della nostra musica preferita.
Un festival è come un treno. Ha una partenza, un arrivo, una tabella con gli orari, le band sui palchi come tanti vagoni. A mano a mano che il treno procede raccoglie sempre più gente, e a ogni fermata incontri qualcuno che conosci. Saluti, abbracci, si balla vicini, un’altra stazione. Un lungo, ritmato, a volte faticoso, quasi sempre divertente viaggio in treno in forma di musica. L’Handmade Festival 2014 per me è stato un po’ così: un grandioso e inarrestabile viaggio dal palco piccolo a quello grande, all'angolo Musica Nelle Valli, una sosta al bar per i rifornimenti e poi si riparte. E intanto la gente saliva, arrivava a frotte, con i plaid, i palloni, tanti passeggini, la perdevi sul prato, la ritrovavi davanti agli ampli. Dicono che alla fine fossimo quasi quattromila. Ma ci stavamo tutti, era una giornata splendida, il sole era alto e forte quando His Clancyness ha acceso i motori, e una moltitudine di stelle scintillava limpida quando i Massimo Volume hanno spento l’ultimo fischio delle loro chitarre. In mezzo c’è stato davvero di tutto, e quasi tutto mi ha regalato un sorriso. È stata, bisogna dirlo, soprattutto una magnifica festa e ci sono un sacco di belle polaroid che voglio ricordarmi qui.
Per primo, il set devastante dei californiani POW! a metà pomeriggio, roba da far sanguinare le orecchie: chitarra incandescente, un paio di vecchi synth analogici, un batterista di marmo incazzato che prima di cominciare si è arrotolato la manica sinistra, quella del braccio che picchiava il rullante, e come fosse un cecchino ha cominciato a pestare preciso e categorico. Non saprei dire se a quel livello di aggressività quella musica si definisca ancora garage rock, ma senza ombra di dubbio ci ha scorticato da capo a piedi. Loro sembravano tutti personaggi di qualche fumetto tipo Eightball, e la più adorabile era l'ossigenata tastierista Melissa Blue, fotografata da chiunque: doveva essere appena uscita da un video dei B-52s o forse da qualche b-movie Anni Cinquanta con il mostro di cartapesta in agguato.
Altrettanto adorabili, ma più che altro per il loro essere più naïf e cialtroni, sono stati i francesi La Femme. L'unico vero ritardo del treno Handmade è stato il loro interminabile ed enigmatico cambio palco, peraltro eseguito con una flemma clamorosa. Attacco questo cavo alla tastiera? Ma no, dai, mi accendo un'altra sigaretta sfregando un fiammifero sulla cintura, con un intenso sguardo parigino verso la notte. Poi finalmente hanno cominciato a suonare, e quell'eleganza, che su Psycho Tropical Berlin ci era sembrata rimandare a qualcosa degli Stereolab, dal vivo si è tramutata in un'allegra leggerezza Stereo Total. Ma alla fine le canzoni sono così divertenti, così "PlasticBertrandeggianti", e la maliziosa Clémence Quélennec ballava come una gatta con una tale grazia, che non si poteva non voler bene anche a loro.
La reunion dei My Awesome Mixtape è stata esattamente come ce la aspettavamo: sudata, ballata, cantata dall'inizio alla fine e soprattutto troppo, troppo breve. Una delle poche band a cui non posso dire di no quando chiede di battere le mani letteralmente ogni tre minuti. Entrati visibilmente nervosi, credo si siano lasciati poi convincere dai cori che hanno sentito arrivare dal pubblico sin dal primo pezzo e che sono poi esplosi, com'era prevedibile, sull'indimenticato PAM-PARAM-PAPPARAPPA-PAPAM. Quando Maolo ha mollato gli occhiali sulla tastiera per piegarsi sul ritornello di The Giant Squid è stato il segnale e hanno ingranato la quarta. Un paio di stage diving di Scaglia più tardi era già tutto finito. Abbracci e sorrisi e un filo di commozione. Menzione d'onore ad Andrea "Mancho" Mancin, che ha fatto il doppio turno, e si è ritrovato dietro la batteria sia nei MAM, sia nella formazione "allargata" di Machweo.
Proprio Machweo (che all'Handmade ho scoperto di avere sempre pronunciato nella maniera sbagliata) è stata una delle migliori sorprese di questa edizione. Lo conoscevo soltanto come ottimo (e giovanissimo!) produttore, ma con una band intorno l'impatto dal vivo è stato davvero di un altro livello. Oltre a Mancho (Giardini di Mirò), lo accompagnano infatti Andrea "Sollo" Sologni dei Gazebo Penguins e Daniele Rossi dei Threelakes. Balearico ma senza concedersi molto a derive più ambient, anzi spingendo di percussioni e bassi, ogni tanto lasciava esplodere una pura cassa dritta che era un piacere. Nettamente in crescita.
Cassa dritta ma con più soul per i torinesi DID. Avevo già visto cosa sanno fare dal vivo, ma nella maniera in cui rendono l'ultimo Bad Boys hanno quasi raggiunto la forma perfetta. Batteria che si sovrappone a drum machine, graffi di chitarra e tantissimo vocoder ed effetti pennellati lì per lì sulla voce. Il disco è uscito in inverno ma questo suono, soprattutto dal vivo, conferma di portarsi dentro una lunga estate. Set ideale per la conclusione del rovente pomeriggio.
Nel palco Musica Nelle Valli ho ritrovato sempre a livelli strepitosi Bob Corn. Non lo sentivo da un po' ed è sempre un piacere ritrovarlo insieme al suo bicchiere di lambrusco, la sua voce schietta, i suoi arpeggi sentimentali e le sue lunghe storie tra una canzone e l'altra. Insomma, tutto il suo folk punk che ci ha scaldato il cuore per anni. Ha suonato una delle mie preferite, che non faceva da un sacco di tempo, You're My Island, e già questo mi sarebbe bastato. Ma poi, come gran finale, ha mollato chitarra e microfono ed è venuto in mezzo a noi, seduti sull'erba, per improvvisare una cover di Zoo di Setti braccia al cielo: commovente.
I Chow forse non li amerò (ancora) quanto i vecchi Tunas, ma bisogna riconoscere che Frabbo e compagni dimostrano sempre di sapere cosa vuol dire fare del Rock con la R maiuscola. Che sia garage, che vada verso la psichedelia, oppure verso qualcosa di più hard rock, come mi pare intenda fare questo nuovo progetto, non si può restare indifferenti (né fermi) davanti a un loro concerto. La cover degli Hüsker Dü sul finale è stata la ciliegina di un set a dir poco poderoso.
E per chiudere una nota in pieno conflitto d'interessi, ma che ci tengo comunque a fare. Se dico che mi è piaciuto il live dei Joyce In Pola immagino di non sorprendere nessuno, dato che escono pure per We Were Never Being Boring. Ma concerto dopo concerto, mi piace questo loro scrollarsi di dosso ogni residuo di indiepop più prevedibile, e di puntare a un suono kiwi in qualche modo più robusto, assolato, colonna sonora per surfisti romantici. Le armonie vocali restano il loro marchio di fabbrica ma a Guastalla le chitarre hanno preso il sopravvento. Se le prossime uscite saranno tutte all'altezza dell'inedita Beauty Out Of Sorrow, presentata in anteprima in chiusura di scaletta, non vedo l'ora di ascoltare dove andranno nel prossimo futuro i Joyce In Pola.
Complimenti a tutti i régaz dell'organizzazione: l'Handmade 2014 ha mostrato ancora una volta come si mette "festa" dentro "festival". Hanno tenuto fede al "fatto a mano" della denominazione, pensando a cosa ci piacerebbe nella nostra festa ideale, e l'Handmande si è confermato un posto dove si sta davvero bene, ascoltando un sacco della nostra musica preferita.
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