Sono uno di quelli a cui viene voglia di fare la foto all’ultimo tramonto sul mare, l’ultimo giorno delle vacanze. Anche se già so che non la guarderò mai: ciao. E poi nei discorsi la sera tardi, tardissimo, ancora seduti a cena, quel piacere quasi capriccioso nel confondere gli anni, i paesi, le strade: era la volta in cui andammo a Cadaques in macchina? Era dopo il festival in Svezia. L’ultimo inter-rail con il walkman. C’erano Leo, la Monica e quella tipa con i capelli lunghi. No, quella era la Sicilia, ascoltavamo i Grandaddy in tenda. L’estate banale, l’estate indimenticabile, l’estate delle mie e delle tue vacanze. La stagione del perdersi, dell’allungarsi pigri sul calendario, la sabbia calda contro la schiena, del parlare di surf rock senza aver mai saputo distinguere una tavola da un tavolino da salotto. La stagione dei mille nastroni per tutti i viaggi che dovevamo fare, e poi ascoltiamo sempre lo stesso disco. Quest’anno (ma lo dimenticherò subito dopo averlo scritto, e chissà con quale altro anno lo confonderò) qui è toccato agli Alvvays.
Una cosa che mi piace un sacco del debutto della band canadese è che a prima vista, un paio di mesi fa, sembrava un disco del tutto trascurabile. Innocuo indie rock contemporaneo, non troppo luccicante e balneare quanto basta, avrebbe detto una recensione frettolosa, canzonette buone per tornare a riciclare un’ultima gag su “Beasty Coasty”. Poi, ascolto dopo ascolto, chilometro dopo chilometro, la sensazione sempre più netta di affezionarsi. Era la malinconia della stagione che passava, c’era qualcosa che doveva durare per sempre e poi non è andata così, la conosci da una vita, un po’ come queste canzoni. C’è altro dopo l’implacabile doppietta di singoli in apertura, Adult Diversion ("How do I grow old with you?") e Archie, Marry Me ("Too late to go out and too young to stay in"). La voce da sirena stremata di Molly Rankin racconta con pacata competenza la nostalgia sbiadita dei riverberi ben noti (l’eccezionale Ones Who Love You), mentre le chitarre sanno giocare tanto agli Smiths da cameretta (Atop A Cake), quanto mostrare un lato più notturno e dolente (The Agency Group), duettando qui e là con synth discreti.
Sulle riviste hanno citato i R.E.M., hanno citato il C86 e i Magnetic Fields (ma che c'entrano? Al massimo qualche tono da Camera Obscura). Non esageriamo. Questo potrebbe essere un esordio incredibilmente promettente, oppure potrebbe essere un disco da confondere tra qualche mese nelle posizioni dopo la venti nelle classifiche di fine anno. Intanto questa era davvero l'estate. Era l'estate che ascoltavamo gli Alvvays e tu cantavi sempre "If I should fall act as though it never happened".
(mp3) Alvvays - Atop A Cake
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