Non sentivo discutere di mashup da un sacco di tempo. Pezzi più o meno riusciti, mi pare in prevalenza di area hip-hop, continuano a popolare i forum specializzati, e magari ogni tanto a qualcuno può tornare utile giocare l’innesto ironico in qualche playlist. Ma l'âge d’or 2004/2005 è ben lontana. L’indie rock non sembra più abbastanza vivo da essere in grado di trarre vantaggio da eventuali incroci alto/basso (categorie in questo momento del tutto sorpassate). E d’altra parte, il pop mainstream è già, per sua natura, onnivoro e non ha (più?) bisogno di nessun credito nei confronti di quello che una volta era un pubblico blog-snob. Il groviglio Strokes VS Christina Aguilera oggi strappa un mezzo sorriso solo agli over 35, ma c’è gente che ancora vi racconterebbe la prima volta che è stata suonata sulla pista del Covo.
Eppure, per uno di quei sempre sorprendenti eterni ritorni delle mode musicali, da sabato scorso sta facendo il giro di mezza internet un magnifico mashup tra Taylor Swift e Aphex Twin, musicista che tra l’altro proprio quest’anno, con il nuovo Syro, è tornato sulle scene dopo una pausa di una dozzina d’anni.
David Reese, l’artista che ha creato Aphex Swift (ogni mashup che si rispetti DEVE fare mostra del proprio ingegno e della propria sagacia già a partire dal nome), ha scritto che questo lavoro si regge su una tesi divisa in due parti: primo, la musica di Aphex Twin riascoltata oggi è tanto romantica quanto quella di Taylor Swift; secondo, Taylor Swift può essere spaventosa tanto quanto Aphex Twin nei suoi momenti più violenti. Non so bene perché Reese abbia sentito il bisogno di affermare questa sostanziale parità tra i due poli della propria opera. Forse voleva evitare a ogni costo di ricadere nella posa “ehi, lo sto facendo con ironia” tipica del clash alto/basso della prima era dei mashup, e passare per inattuale.
Invece a me, che ascoltavo lo streaming senza averne letto l’introduzione, non sarebbe mai venuto in mente che in quelle canzoni il musicista britannico e la star americana fossero sullo stesso piano. Innanzitutto, perché mi è sempre stato evidente che Aphex Twin, con la sua storia di isolamento e ambiguità, sa essere di un romanticismo sconfinato, sa alludere a passioni e malinconie senza dire una parola, soltanto a forza di blips, sinuose frequenze di bassi, indefiniti prodotti di sintesi sonica, reazioni chimiche prelevate da pianeti sconosciuti e inumane frammentazioni di breaks. In secondo luogo, ho finora vissuto sereno con il pregiudizio che un personaggio come Taylor Swift, dalla narrazione impeccabile e così ben congegnata (le radici country, l’etica del lavoro, la padronanza dei red carpet, la competenza nei talk-show, la-storia-d’amore-la-rottura-la-catarsi, i discorsi motivazionali per un target da Rookie Magazine, la sua algida bellezza) apparisse molto più artificiosa e sofisticata di qualunque disco IDM. So che è un pregiudizio, so che esiste una sterminata letteratura agiografica intorno al personaggio, so che è appena stata nominata ambasciatrice di New York, so che rappresenta un modello positivo per una generazione di ragazze là fuori, ma non si può sempre essere imparziali e onniscienti: la mia vita aveva fatto a meno di Taylor Swift fino a ieri.
Nonostante il simpatico incidente della traccia di “rumore bianco” finita per sbaglio prima in classifica possa costituire un “glitch in the matrix” capace di diventare l’unità di misura della contemporaneità per qualche diligente surfista dello zeitgeist (e non a caso The Atlantic ci ha costruito sopra una spassosa e a suo modo geniale finta recensione firmata Don DeLillo), il mio mondo era proprio da un’altra parte. Il mashup di Reese ha quindi avuto il merito, tra le altre cose, di farmi venire voglia di sentire, per esempio, da dove venisse la traccia vocale appoggiata su Girl/Boy, banalmente una delle canzoni della mia vita. Un paio di ascolti di We Are Never Ever Getting Back Together non mi hanno detto molto: una confezione lucente sulla quale non riesco a trovare nessun appiglio. Anche la battutina sui dischi indie, le mezze frasi parlate inserite nei punti giusti, i coretti UH-UH-UH martellanti mi sembrano più alieni di una qualsiasi traccia dei Selected Ambient Works con una sequenza casuale di consonanti come titolo (a parte l’evidente effetto collaterale che le canzoni di Taylor Swift le devi estirpare chirurgicamente dal cervello, dove si piazzano in loop e ti riducono come uno schiavo dell’ipnorospo).
Malgrado tutto quello che può dichiarare il suo autore, il mashup Aphex Swift parla in maniera diversa a chi ha vissuto la meraviglia, la rivelazione della musica di Richard D. James quando nasceva, mentre ci scopriva orizzonti sconosciuti. La contrapposizione tra i due non può essere oggettivamente alla pari. Temo che ai fan di Taylor Swift questi suoni non sembrino più così di frontiera, né racchiudano per loro la stessa poesia. Anzi, forse ai più lungimiranti sembrerà un’interessante anticipazione di quello che potrebbe anche essere una futura tappa dell’evoluzione della cantautrice. Ma il mashup era e resta un terreno di scontro: a volte tra passato e presente, a volte tra cuore e cervello. Ti chiede di scegliere da che parte stare, fosse anche solo con un mezzo sorriso.
(mp3) Aphex Swift - We Are Never Ever Getting Girl/Boygether
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