[Allo Darlin', al secolo Elizabeth Morris, è una delle voci più sorprendenti uscite dal piccolo mondo indiepop negli ultimi anni, una che meriterebbe (e di certo si guadagnerà) un pubblico ben più ampio. Da poco ha pubblicato il suo terzo album, We Come from The Same Place, e in queste settimane lo sta presentando con un lungo tour negli Stati Uniti. Valeria di Trees Of Dreaming (grazie!) ha avuto la fortuna di patecipare alla data del Glasslands di Brooklyn, e dato che conosco l'effetto che fanno i concerti di Allo Darlin', non poteva che uscirne un report parecchio emozionato.]
C'è scritto che il concerto inizia alle otto. Adoro questi concerti che cominciano presto perché posso andarci direttamente dall'ufficio, giusto il tempo di farmi un bicchiere di vino prima. A Williamsburg mi stanno aspettando la mia amica e sua sorella, mi chiamano per dirmi di non correre, tanto non c'è nessuno. Letteralmente. Arriviamo all'ingresso e il tizio della security non vuole nemmeno farci entrare, le band salgono sul palco alle dieci, alle otto aprivano solo le porte. Ah. È la terza volta che mi succede qua a New York, vediamo se riesco a capirlo prima di un paio di mesi. Compriamo i biglietti, ci mettono il timbro, un salto al cinese e torniamo ai cancelli del Glasslands puntuali, mostriamo il nostro calabrone timbrato sui polsi, entriamo. Ci saranno al massimo un centinaio di persone, e sembrano di meno perché una parte è appollaiata lungo un corridoio sospeso protetto da una balaustra. Fossimo arrivate prima mi sarei arrampicata, ma comunque riusciamo quasi a raggiungere la prima fila, quindi non mi lamento. Il Glasslands ha dei principi gotici: il soffitto è altissimo e sproporzionato rispetto all'effettivo spazio della sala, è tutto in legno, con questi pilastri che reggono la balaustra, sembra di trovarsi sul fondo di un barile. Ovunque sul soffitto sono appesi grappoli di curiose installazioni, tubi metallici da cui fanno capolino timide luci colorate cangianti. Il pubblico ha un'età media di trent'anni, le mie amiche mi guardano perplesse per la scarsa presenza giovanile (non conoscono Allo Darlin', sono qui in buona fede). Rassicuro che sarà bellissimo (spoiler: lo sarà). La band sta sistemando gli strumenti. Elizabeth è deliziosa con quel taglio alla maschietta e questo vestitino grigio di maglina a maniche corte, roba che io mettevo alle elementari.
Il bassista ha un sorriso incredibilmente contagioso, viene subito soprannominato "il baffotto", sembra ubriaco di gioia, riderà suonando con gli occhi chiusi per quasi tutto il concerto.
Attaccano tutto, lei saluta con la sua voce celestiale, ringrazia, cominciano con Kings And Queens dal nuovo album. Il suono per fortuna è pulito, nonostante a prima vista l'impianto mi avesse preoccupata, ma si percepisce bene la limpidezza della sua voce e la leggerezza dell'ukulele. Subito dopo suonano la title track del nuovo album We Come From The Same Place, ed Elizabeth infatti dice timida "abbiamo fatto un nuovo album". La gente applaude, lo sanno e ce l'hanno già tutti. Si comincia anche a ballare ma con circospezione, i più attempati non si muovono e sono tanti. Poi è la volta di Half Heart Necklace: Elizabeth spiega che è la prima e unica canzone che ha scritto dal punto di vista di qualcun altro, un "friend" dentro una relazione a distanza da quattro anni. Un amplificatore si mette a gracidare, Elizabeth stacca una mano dall'ukulele e aggiusta il cavo al volo mentre continua a cantare con un candore e un sorriso da "e che ci vuoi fare" che fa venire voglia di salire sul palco e abbracciarla. Dicono ridendo che questo ampli "comes from space". Poi arriva Wonderland e a seguire History Lesson. A questo punto l'ampli comincia ad abbandonarci davvero. Rumoreggia, borbotta, la band inizia a suonare qualcosa ma le scariche sono troppo forti e deve fermarsi. Il chitarrista cerca di intrattenere il pubblico con qualche battuta, sono visibilmente tutti e quattro a disagio e imbarazzati, ci urlano scusate ma "we don't have any money and this amp was originally in a bin". Dicono che portarsi gli strumenti dall'Europa costa un patrimonio e che hanno recuperato questo di fortuna ieri, pareva funzionare e invece no, scusate. Lo sostituiscono con un altro che credo gli sia stato prestato dal locale, non lo dicono, cercano di fare i vaghi, ricordano gli studenti di liceo quando la professoressa dice che interroga e tutti cominciano a cercare cose sul fondo delle proprie cartelle o fissare intensamente cartine geografiche per evitare l'eye-contact col prof.
Parte Capricornia ed è il mio momento preferito, ballo e vedo altri che ballano, mi chiedo perché certe volte i pezzi li senti dal vivo ed è come se li vedessi, un nastro trasparente perlaceo che esce dalle casse e ti travolge, entra nella schiena ed esce dalla gola tirandosi dietro urla, risate di gioia nervosa e lucida, mezza lacrima e il fiato che stai usando per ballare. Quando finisce non voglio. Poi fanno Crickets In The Rain, sempre dal nuovo album, e lei specifica che questa è una canzone "about things that are good now, but weren't before", ci mette tutta sé stessa e alla fine sembra che stia per piangere ma si trattiene. Poi "Paul is going to sing the next song" ed è Bright Eyes, a me lui non convince ma quando lei chiede "do you believe in love?" lui risponde "I do if you ask me to", mi sciolgo e finisco per volergli bene.
Poi My Heart Is A Drummer e Silver Dollars, che ci fanno saltare un bel po'. Mentre sul finale la voce angelica di Elizabeth cantilena "I can stay here forever hanging out" credo che tutti stiamo pensando "sì, anche io, non andare via, cantaci qualcos'altro, di tutto, e se ti avanza puoi venire a casa mia, io mi accoccolo sotto le coperte e tu mi fai addormentare". Salutano, spariscono dietro le quinte, ovvero due stracci neri appesi per coprire il buco nel muro che porta al backstage. Le mie amiche vogliono precipitarsi al banchetto del merch ma sento che non è finita e le invito a tenere la posizione. Infatti poco dopo Elizabeth esce di nuovo, stavolta è da sola e intona Talullah voce, ukulele e anima. Verso due lacrime, vedo occhi lucidi intorno. Finisce davvero. Andiamo al banchetto, salutiamo tutti, Elizabeth è letteralmente accerchiata, le diciamo brava bravissima ti vogliamo benissimo come vere fangirl adolescenti. Prima di uscire andiamo dal bassista baffone che ha sorriso tutto il tempo, gli diciamo che sono bravissimi e che vogliamo bene pure a lui e lui ci regala sorrisi e strette di mano, siete italiane wow lo sapete che Elizabeth abita a Firenze da un anno (piccolo indizio: l'ultima traccia dell'album si intitola Santa Maria Novella). Ripenso alla mia ultima volta a Firenze e mi sale un sorriso che sa di nostalgia per quello che mi sono lasciata dietro in Italia, o forse per quello che troverei ad aspettarmi se tornassi. Dura un attimo e poi siamo fuori. Per tornare a Manhattan facciamo il ponte di Williamsburg a piedi anche se comincia a fare fresco. Sta arrivando l'autunno a New York.
(mp3) Allo Darlin' - Kings And Queens
[foto rubate a Brooklynvegan]
C'è scritto che il concerto inizia alle otto. Adoro questi concerti che cominciano presto perché posso andarci direttamente dall'ufficio, giusto il tempo di farmi un bicchiere di vino prima. A Williamsburg mi stanno aspettando la mia amica e sua sorella, mi chiamano per dirmi di non correre, tanto non c'è nessuno. Letteralmente. Arriviamo all'ingresso e il tizio della security non vuole nemmeno farci entrare, le band salgono sul palco alle dieci, alle otto aprivano solo le porte. Ah. È la terza volta che mi succede qua a New York, vediamo se riesco a capirlo prima di un paio di mesi. Compriamo i biglietti, ci mettono il timbro, un salto al cinese e torniamo ai cancelli del Glasslands puntuali, mostriamo il nostro calabrone timbrato sui polsi, entriamo. Ci saranno al massimo un centinaio di persone, e sembrano di meno perché una parte è appollaiata lungo un corridoio sospeso protetto da una balaustra. Fossimo arrivate prima mi sarei arrampicata, ma comunque riusciamo quasi a raggiungere la prima fila, quindi non mi lamento. Il Glasslands ha dei principi gotici: il soffitto è altissimo e sproporzionato rispetto all'effettivo spazio della sala, è tutto in legno, con questi pilastri che reggono la balaustra, sembra di trovarsi sul fondo di un barile. Ovunque sul soffitto sono appesi grappoli di curiose installazioni, tubi metallici da cui fanno capolino timide luci colorate cangianti. Il pubblico ha un'età media di trent'anni, le mie amiche mi guardano perplesse per la scarsa presenza giovanile (non conoscono Allo Darlin', sono qui in buona fede). Rassicuro che sarà bellissimo (spoiler: lo sarà). La band sta sistemando gli strumenti. Elizabeth è deliziosa con quel taglio alla maschietta e questo vestitino grigio di maglina a maniche corte, roba che io mettevo alle elementari.
Il bassista ha un sorriso incredibilmente contagioso, viene subito soprannominato "il baffotto", sembra ubriaco di gioia, riderà suonando con gli occhi chiusi per quasi tutto il concerto.
Attaccano tutto, lei saluta con la sua voce celestiale, ringrazia, cominciano con Kings And Queens dal nuovo album. Il suono per fortuna è pulito, nonostante a prima vista l'impianto mi avesse preoccupata, ma si percepisce bene la limpidezza della sua voce e la leggerezza dell'ukulele. Subito dopo suonano la title track del nuovo album We Come From The Same Place, ed Elizabeth infatti dice timida "abbiamo fatto un nuovo album". La gente applaude, lo sanno e ce l'hanno già tutti. Si comincia anche a ballare ma con circospezione, i più attempati non si muovono e sono tanti. Poi è la volta di Half Heart Necklace: Elizabeth spiega che è la prima e unica canzone che ha scritto dal punto di vista di qualcun altro, un "friend" dentro una relazione a distanza da quattro anni. Un amplificatore si mette a gracidare, Elizabeth stacca una mano dall'ukulele e aggiusta il cavo al volo mentre continua a cantare con un candore e un sorriso da "e che ci vuoi fare" che fa venire voglia di salire sul palco e abbracciarla. Dicono ridendo che questo ampli "comes from space". Poi arriva Wonderland e a seguire History Lesson. A questo punto l'ampli comincia ad abbandonarci davvero. Rumoreggia, borbotta, la band inizia a suonare qualcosa ma le scariche sono troppo forti e deve fermarsi. Il chitarrista cerca di intrattenere il pubblico con qualche battuta, sono visibilmente tutti e quattro a disagio e imbarazzati, ci urlano scusate ma "we don't have any money and this amp was originally in a bin". Dicono che portarsi gli strumenti dall'Europa costa un patrimonio e che hanno recuperato questo di fortuna ieri, pareva funzionare e invece no, scusate. Lo sostituiscono con un altro che credo gli sia stato prestato dal locale, non lo dicono, cercano di fare i vaghi, ricordano gli studenti di liceo quando la professoressa dice che interroga e tutti cominciano a cercare cose sul fondo delle proprie cartelle o fissare intensamente cartine geografiche per evitare l'eye-contact col prof.
Parte Capricornia ed è il mio momento preferito, ballo e vedo altri che ballano, mi chiedo perché certe volte i pezzi li senti dal vivo ed è come se li vedessi, un nastro trasparente perlaceo che esce dalle casse e ti travolge, entra nella schiena ed esce dalla gola tirandosi dietro urla, risate di gioia nervosa e lucida, mezza lacrima e il fiato che stai usando per ballare. Quando finisce non voglio. Poi fanno Crickets In The Rain, sempre dal nuovo album, e lei specifica che questa è una canzone "about things that are good now, but weren't before", ci mette tutta sé stessa e alla fine sembra che stia per piangere ma si trattiene. Poi "Paul is going to sing the next song" ed è Bright Eyes, a me lui non convince ma quando lei chiede "do you believe in love?" lui risponde "I do if you ask me to", mi sciolgo e finisco per volergli bene.
Poi My Heart Is A Drummer e Silver Dollars, che ci fanno saltare un bel po'. Mentre sul finale la voce angelica di Elizabeth cantilena "I can stay here forever hanging out" credo che tutti stiamo pensando "sì, anche io, non andare via, cantaci qualcos'altro, di tutto, e se ti avanza puoi venire a casa mia, io mi accoccolo sotto le coperte e tu mi fai addormentare". Salutano, spariscono dietro le quinte, ovvero due stracci neri appesi per coprire il buco nel muro che porta al backstage. Le mie amiche vogliono precipitarsi al banchetto del merch ma sento che non è finita e le invito a tenere la posizione. Infatti poco dopo Elizabeth esce di nuovo, stavolta è da sola e intona Talullah voce, ukulele e anima. Verso due lacrime, vedo occhi lucidi intorno. Finisce davvero. Andiamo al banchetto, salutiamo tutti, Elizabeth è letteralmente accerchiata, le diciamo brava bravissima ti vogliamo benissimo come vere fangirl adolescenti. Prima di uscire andiamo dal bassista baffone che ha sorriso tutto il tempo, gli diciamo che sono bravissimi e che vogliamo bene pure a lui e lui ci regala sorrisi e strette di mano, siete italiane wow lo sapete che Elizabeth abita a Firenze da un anno (piccolo indizio: l'ultima traccia dell'album si intitola Santa Maria Novella). Ripenso alla mia ultima volta a Firenze e mi sale un sorriso che sa di nostalgia per quello che mi sono lasciata dietro in Italia, o forse per quello che troverei ad aspettarmi se tornassi. Dura un attimo e poi siamo fuori. Per tornare a Manhattan facciamo il ponte di Williamsburg a piedi anche se comincia a fare fresco. Sta arrivando l'autunno a New York.
(mp3) Allo Darlin' - Kings And Queens
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