When a website dies






When a website dies, it’s usually the editorial that goes first: writers, both freelance and staff, then editors. Marketing and ad sales go next. Unlike print, where archive editions get filed away or become recycling, a website can be scrubbed out of existence because a company pulls it down or simply stops paying for hosting or domain rights. Modern Farmer went from National Magazine Award to pasture in a year. (Despite some assurances it will still be around, check back in six months.) Hipster Runoff owner Carles, rather than pull his dormant site down, just sold it to an Australian investor for over twenty thousand dollars. Remember The Daily? The internet doesn’t.



Most of the media outlets I’ve written for have folded and then were flat-out deleted. In 2009, I had started blogging for AOL Music’s Spinner and The BoomBox, averaging three posts per day about indie rock and hip-hop. By 2010, I was writing approximately two print features and twenty blogposts per month on local music acts for New York Press. After that, in 2011, I joined the boutique MP3 blog RCRD LBL as the site’s lead editor/writer, publishing five posts per day. None of these outlets exist in 2014 beyond stray citations, rotten links and Facebook apparitions.



"All My Blogs Are Dead" by Carter Maness, The Awl.



Qualcuno potrebbe dire che di molte cose pubblicate in rete non vale la pena tenere memoria. Può darsi sia così. Quando ho cominciato a scrivere sul web non ci si poneva in maniera sistematica il problema di conservare tutto, e forse per qualche buon motivo. A casa dei miei genitori, "per sicurezza", ci sono ancora i floppy disk con i primi pezzi che spedivo. Poi sono arrivati i blog, e quando è cominciato il nostro scroll infinito abbiamo definitivamente dato per scontato che ogni cosa sarebbe rimasta per sempre dove l'avevamo messa. La colonna dei link qui a destra purtroppo è la prova che si trattava di un'illusione.

Ma credo esista anche un problema di ordine superiore e meno narcisista. Nei piccoli giri amatoriali delle webzine, dei siti che godevano di qualche sovvenzione comunale dal rinnovo incerto, dei blog sponsorizzati che duravano un anno o sei mesi, la scrittura era una pura questione di "contenuti", un Lorem Ipsum che andava a farcire altri progetti, che doveva "far girare la macchina". Eppure, tutto questo ha rappresentato anche una palestra fondamentale (o, se preferite, un modo per tenere occupati centinaia di pretenziosi scrittori). Si andava per tentativi e a volte ne imbroccavamo anche qualcuna. Se di tutto questo non rimane memoria, non esisterà nemmeno il confronto con il passato da parte di chi inizia oggi ad affrontare questi discorsi. Esperimenti che ritengo ancora oggi illuminati e che ho avuto la fortuna di vedere da vicino, come Vitaminic o Indiepop.it, hanno lasciato qualche eredità alla critica musicale (spariamola grossa) dopo che i server sono stati spenti? Probabile che pochi ne sentano la mancanza oggi, ma in generale: come si sviluppa una conversazione intorno alla musica se non si sa bene come tramandarla?


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