C'è questo conversazione nella tua testa, una specie di discorso che porti avanti con qualcuno che non c'è. La tua vita ha preso una svolta diversa, avete dovuto lasciarvi a quel bivio. Succede tutti i giorni, non sei l'unico. Ma dentro la tua testa quella strada che non hai mai imboccato continua, è un fiume di parole, ha un tempo parallelo tutto suo, mesi, anni, e tu non puoi farci niente. "Has it been four years already?" canta l'ultimo verso di Dreamers, canzone contenuta in Seems Unfair, nuovo album dei Trust Fund, e in quella domanda puoi davvero avvertire tutto il sincero e spaventato sconcerto. Vedersi all'improvviso in uno specchio e fare fatica a riconoscersi.
È come vivere due vite, o avere un canale che trasmette solo repliche sempre acceso dietro la nuca. "Feeling as bad as this time last year / and the year before" (Big Asda). Anche per questo non mi stupisce che in queste canzoni ci siano così tanto riferimenti ai sogni: "there will be a time for give reason / but for now we are dreaming" (4th August). E anche per questo non mi stupisce che Ellis Jones abbia pubblicato questo nuovo lavoro a soli otto mesi di distanza dal precedente e micidiale No One's Coming For Us. "Obviously I’m writing about stupid relationship stuff a lot", concede mentre racconta di appassionarsi a temi bizzarri come i supermercati aperti la notte. È una situazione di stallo, "always and ever we are breaking up", che però si slega sempre un po' di più dalla realtà: "a future built on a sloping past".
Persiste nella scrittura di Ellis quella strana sensazione che ti lascia addosso il riflettere troppo e troppo a lungo su ogni passo compiuto e da compiere, e al tempo stesso non riuscire comunque mai a essere lucidi riguardo a sé stessi e al proprio mondo. La title track è perentoria: "you're too far down the wrong road / and there's nowhere else you'd even wanna go".
La differenza che si avverte in Seems Unfair rispetto al lavoro precedente sta tutta nel suono, questa volta molto più pieno e coeso. Come se i Trust Fund si fossero sentiti liberati dopo l'uscita di No One's e questa volta riuscissero a sviluppare tutte le loro potenzialità più schiettamente power-pop. Ellis indica nella produzione curata da MJ degli Hookworm il merito di questa nuova direzione. Mentre la voce si ostina quasi sempre in quel falsetto che ormai conosciamo bene, le chitarre e soprattutto la ritmica sono qui più esplosive, a tratti gioiose. I nomi che le recensioni citano più spesso sono ancora Weezer, Pixies e Superchunk, ma anche contemporanei come Los Campesinos e Joanna Gruesome (vedi). Un paio di arrangiamenti (soprattutto nella conclusiva e magnifica Can You Believe) continuano a farmi pensare che gli svedesi Envelopes siano stati una band troppo sottovalutata e sfortunata. Impressione confermata dallo strepitoso live visto un paio di mesi fa al Covo qui a Bologna.
Due album monumentali (stavo per scrivere "mostruosi", con tutta l'ambiguità del caso) nel giro di un anno: non è poi così comune in questo genere di musica, sempre più trascurato. Peccato che sappiano fin troppo bene come farmi male, o forse è proprio quello il motivo per cui i Trust Fund li amo così tanto.
Trust Fund - Dreams
Trust Fund - Can You Believe
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