Una delle cose più importanti che sembrano insegnarci le mappe è che non bisogna davvero cercare là dove credi di poter trovare ciò che cerchi. La mappa non è il luogo che indica. Così, per esempio, se leggi il nome “Hy Brazil” non pensare subito a climi tropicali e spiagge assolate. Piuttosto, dovrai dirigerti molto più a Nord, circa all'altezza dell’Irlanda, nel mezzo del gelido oceano Atlantico. E anche a quel punto scoprirai che Hy Brazil non è nemmeno un’isola: è la leggenda di un’isola, è una voce tramandata per sbaglio o forse soltanto un sogno.
Non è affatto stravagante che la band romana dei Weird Black abbia scelto come titolo del proprio album di debutto questo nome inafferrabile, questo luogo inaccessibile se non per mezzo di mappe vaghe e confuse. In fondo, si potrebbe dire che la loro musica nasce nello stesso stato sospeso, respira la stessa aria di favola, un po’ grottesca e un po’ surreale.
Se la psichedelia classica degli Anni Sessanta, quella magia che evoca una parola lontana e al tempo stesso definitiva come “Canterbury”, rimane il porto da cui i Weird Black sono salpati, la rotta della loro folle nave si stempera verso direzioni più scanzonate, sulla scia di una bassa fedeltà più contemporanea, quella che ha ascoltato bene la lezione di personaggi come Ariel Pink e Daniel Johnston, o nuove band come i Foxygen, scrutando l’orizzonte avendo negli occhi lo stesso sguardo beffardo alla Mac DeMarco. Chitarre che sbucano da caleidoscopi, melodie scarne e ipnotiche, ritmi sornioni che finiscono per catturarti e portarti alla deriva. Non cercate Hy Brazil sulle mappe: lasciate che sia questo disco a condurvi là.
Weird Black - All Lies Are True
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