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«I giovani oggi non sembrano avere più quella identificazione "fanatica" con i singoli generi. L'amore per la musica e la formazione della propria identità non vanno più di pari passo. L'ascolto è diventato eclettico. E quando non paghi la musica - perché la scarichi illegalmente o perché usi lo streaming o YouTube - non investi allo stesso modo dal punto di vista psicologico ed emotivo. Non devi fare scelte. Puoi avere un po' di tutto. [...] I giovani di oggi cresciuti senza molte barriere artistiche probabilmente faranno musica senza pensare ai generi. C'è però una conseguenza importante: si perde il brivido e lo shock che potevi provare quando gli artisti superavano quelle barriere».
Leggere la breve intervista di Gianni Santoro a Simon Reynolds è un'altra di quelle piccole esperienze quotidiane che ci ricordano quanto sia diventato complicato ed estenuante mantenere viva un'idea di critico musicale oggi. Finché non ne parlo, magari anche io sui "giovani" potrei pensarla più o meno nei termini della citazione qui sopra. Ma vedere quei ragionamenti lì, espressi in quella maniera, nero su bianco, d'istinto ti fa sentire che non possono essere quelli giusti. Il presunto problema che non nasceranno più sottoculture non può essere un ver problema. Primo perché presuppone la propria conseguenza (come fa a essere sicuro Reynolds che non nasceranno in futuro? Come fa a essere sicuro che la stessa definizione sociologica di sottocultura non si modificherà?). Secondo: presuppone che l'idea di sottocultura sia necessaria alla cultura musicale.
Mettendo per un attimo da parte le considerazioni di carattere economico sui mutamenti del mercato discografico, più ci penso più mi convinco che dobbiamo cambiare il modo in cui abbiamo concepito il formarsi del gusto musicale fino a oggi (o meglio: fino a ieri). Forse con una certa spocchia, scrivevo che la storicizzazione, come l'abbiamo sempre conosciuta, "diventerà soltanto un modo come un altro di approcciarsi al catalogo universale della musica". Ma in parole povere è questo: Reynolds sembra provare a misurare con un metro del Novecento qualcosa che Novecento non è più (e non tornerà mai più a essere).
Vorrei citare un altro pezzo girato parecchio sui social negli ultimi giorni, quello del Guardian sui "giovani che non vanno più nei club". Ma che è questa fissazione coi Giovani? È il 1994? In ogni caso, la cosa più deprimente dell'articolo è il tentativo di ridurre una generazione a delle strane figure ospiti del "nostro" tempo, o ancora peggio, il tentativo di farli passare per dei disgraziati alieni. I club costano troppo, non sono sicuri, sono sporchi: ma perché questo fintissimo atteggiamento da Azione Cattolica? Come se la club culture e la musica elettronica non esistessero più da un momento all'altro. Un esorcismo di senilità a livello delle peggiori inchieste del Resto del Carlino.
D'accordo: forse più che nella sua recente storia, alla musica sembrano mancare strumenti per leggere il presente e capire il mondo. Ma non facciamo finta di non accorgerci quando stiamo prendendo una posizione da Preside Skinner solo perché non siamo ancora stati capaci di inventarci qualche categoria di pensiero nuova. Retromania ora e sempre, ma non davanti agli occhi.
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