Sarà stato ormai vent'anni fa. Qualcuno deve avermi detto una cosa tipo "a te che piacciono i Belle and Sebastian e i Lucksmiths, sicuramente piaceranno anche questi nuovi Sodastream". E così è cominciata questa curiosa confidenza a distanza: sembrava di conoscerli bene, questi due ragazzi australiani dall'aria seria, eppure in qualche modo i Sodastream restavano sempre ai margini dei radar. Hanno fatto tanti concerti, anche da queste parti, grazie anche a Bob Corn e alla sua Fooltribe (per la quale incisero un memorabile Concerto Al Barchessone Vecchio), ma nonostante l'innegabile talento non sembravano mai ottenere tutto il successo che avrebbero potuto meritare.
Dopo aver diviso palchi con nomi del livello di Pavement, Lambchop, Yo La Tengo, Smog e Low, subito dopo un ultimo album amato anche se non perfetto (Reservations del 2006), decisero di sciogliersi. Anche il loro scioglimento, se ricordo bene, non ebbe poi troppa risonanza. Sarà per quel tono dimesso che aveva sempre pervaso la loro musica. Passati ormai dieci anni, si può anche pensare che, più che un vero e proprio scioglimento, sia stata una lunga pausa dalla frustrazione.
In questo 2017 così diverso e lontano da quegli anni ("indie"?), tornano i Sodastream con un nuovo disco che forse rappresenta il dovuto culmine di una carriera da rivalutare a pieno. Si intitola Little By Little, ed è proprio così, "a poco a poco" che si presenta. La prima nota è sola, ed è del contrabbasso di Pete Cohen, poi arriva una carezza della chitarra di Karl Mith, l'immagine comincia a mettersi a fuoco. Colouring Iris parla di acquerelli, il colore lo tiene assieme una viola struggente. La melodia si coagula adagio, "if you need to rise / don't be hasty": no, i Sodastream sanno "rialzarsi" ma non sono certo frettolosi, e non lo sono mai sembrati. Queste nuove canzoni, anzi, si prendono tutto il tempo e lo spazio necessario. Da questo punto di vista, è davvero esemplare il portentoso crescendo di Three Sins, forse una delle migliori canzoni della loro intera discografia.
I Sodastream riescono a dare a ognuna delle loro storie un'atmosfera speciale e peculiare: c'è la nervosa fanfara di Letting Go, che guida una fuga rabbiosa ("don’t give me songs about God or country / Or about the violence I attract / I thought you might have evolved through more than these things"); c'è il rimpianto tutto racchiuso nelle poche note di un arpeggio sospeso come un punto interrogativo di Grey Waves ("we had a fortune, it's gone..."), i cui cori sembrano quasi un omaggio a Simon & Garfunkel; c'è l'amara rincorsa di Moving ("I wish I could've been more") che sfocia in un inevitabile addio; c'è l'insofferenza di Tyre Iron che spinge nei suoi archi inquieti, e poi c'è la quiete dopo che il peggio forse è passato nella conclusiva Saturday's Ash, con un theremin però subito pronto a instillare il dubbio ("the sun burns through a new kind of truth / and my fears are so tall").
I Sodastream dimostrano di essere una band in ottima forma, hanno realizzato un album compatto e ricco, a tal punto coinvolgente che non si direbbe sia passato un solo giorno dalla loro stagione migliore, e quasi ti sembra di troppo salutarli con un "bentornati".
I Sodastream stanno per arrivare in Italia per cinque date. Questo il calendario dei concerti:
- martedì 28 marzo: Milano @ BIKO
- mercoledì 29: Bologna @ Locomotiv Club
- giovedì 30: Pescara @ Auditorium Petruzzi
- venerdì 31: Roma @ Chiesa Valdese | Unplugged in Monti
- sabato 1 aprile: Torino @ Spazio211
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