We didn’t care if this was the last one


Hater 'You Tried' (PNKSLM) - Malmö



Non leggo più tanti libri come una volta. Ci penso spesso e ci sto un po' male. Le storie si perdono, svaniscono, e un po' anche noi. Cerco di convincermi di avere già tutto quello che mi serve, di portare ogni cosa dentro qualche specie di valigia mentale che dovrei avere preparato e messo da parte in tutti questi anni. Ma la verità è che mi sento come se fossi sempre su questo treno e non ricordassi più quando sono partito e dove devo arrivare. Il viaggio fila dritto, comodo, alta velocità e aria condizionata. Ma è come non avere niente con me. Ho dimenticato qualcosa a terra, molte stazioni fa? Dov'è il mio biglietto?

Mi accorgo di continuare a cercare questo distacco, questa mancanza dentro le canzoni. Amo quei dischi che sembrano suonare allegri, sorridenti e piacevoli, addirittura primaverili, ma che trascinano nel cuore una malinconia splendente, un addio che si prolunga e non si placa. Io sono lì, sul treno, ma sento ancora tutta la scia dei miei "me" prolungarsi e risalire fino al momento in cui ci siamo lasciati sul binario, ed è finita.

You Tried, l'album di debutto degli Hater pubblicato da PNKSLM, dura appena ventisei minuti, ma mi sono bastati due secondi, due istanti lacerati e preziosi per innamorarmi ed essere certo che questo sarebbe stato un disco che mi avrebbe fatto male.

Carpet subito in apertura, un verso nudo e semplice come "oh baby, I can't fix it, you know I can't", proprio quando la canzone si interrompe: gli Hater non inseguono l'enfasi del dramma nella loro musica, sanno che non occorre. Ne abbiamo già abbastanza di dramma. Parlano in maniera semplice ma netta: ogni elemento deve stare dove sta. Fanno quel guitar pop limpido che a tutti ha fatto venire in mente gli Alvvays, ma che si potrebbe anche far risalire fino ai Dolly Mixture senza troppi problemi.

Nel singolo Had It All, il momento in cui la voce roca di Caroline Landahl all'improvviso si leva a un tono intransigente, e la batteria si inceppa, come se insistesse sull'unico punto che non può essere oltrepassato: "don't go back to me 'cause you had it all, and you lost it all". Fino alla strofa precedente sembrava accomodarsi tutto, la canzone era una spiegazione, aveva il tono di qualcosa che cerca di riaggiustarsi a poco a poco. Ma non puoi credere di sistemare davvero tutto, fino in fondo, e far tornare indietro quel treno. Il modo in cui la canzone si svuota e si spegne, quell'ultimo tentativo del basso, come una domanda patetica lasciata a metà, è da lacrime.

A volte non puoi far altro che abbandonarti a un crepuscolo (la tenerezza della conclusiva title track), a volte ti agiti e non riesci a controllarti (l'aspra e incalzante Stay Gold), a volte ostenti una sensualità quasi spavalda (Cry Later). Ma quello che non lascia mai il tuo cuore è quello che continui a cercare senza sosta.












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