La mia canzone preferita dei Radiator Hospital non è il loro singolo più noto, Cut Your Bangs, ma un'altra che sta sullo stesso album, Torch Song (del 2014), e intitolata Five & Dime. È una canzone precipitosa, che corre a rotta di collo tentando di afferrare una fiamma a mani nude e ridendo. È tutta un cuore che batte, mani che stringono, fianchi che danzano e labbra che bruciano. Trabocca innocenza e desiderio al tempo stesso, un'euforia che scuote e strappa le catene, senza voler essere più legata a nostalgie né rimpianti. Dura due minuti e per me i Radiator Hospital sono tutti lì. Quella speranza che corre, vola, resta senza fiato ma è ancora così forte da travolgere ogni altro momento, ogni delusione, ogni agrodolce abbandonarsi al sentirsi perdenti che conforta.
Si può discutere se certe loro chitarre pop punk potrebbero essere più incisive, o se la voce melodrammatica di Sam Cook-Parrot suona più antipatica o sincera. Ma non si può chiedere ai Radiator Hospital di non essere quello che sono. Vedere come anche le riviste considerate il benchmark del malandato settore riescono a mancare completamente il bersaglio nelle loro recensioni può essere, in un certo senso, anche fonte di consolazione, ma non rende giustizia al lavoro della band di Philadelphia. Pitchfork si lamenta che le canzoni del nuovo album Play The Songs You Like sono troppo brevi e troppo uguali. Ma guarda: io invece avevo esultato per come questo loro terzo lavoro, prodotto da Jeff Zeigler (uno che ha già collaborato con nomi come War On Drugs, Kurt Vile e Allison Crutchfield), fosse senza dubbio quello meno fragile del loro catalogo, quello più coeso e consistente. I Radiator Hospital fanno canzoni che di rado superano i due minuti: qual è il problema? Hai mai sentito parlare di urgenza? I Radiator Hospital non si possono definire punk, ma l'indiepop viene dopo il punk, ne eredita quell'elemento di immediatezza e cerca di trasportarlo in un mondo la cui sostanza è più emotiva, sentimentale. E i Radiator Hospital sono bravissimi a maneggiare questo linguaggio.
Non per niente, uno dei temi ricorrenti di Play The Songs You Like sembra essere quello dell'intreccio di musica e vita di tutti i giorni. Quella maniera unica che hanno le canzoni di avvilupparsi ai monologhi nella nostra testa, di riempire quelli che da fuori sembrano soltanto silenzi, di dare significato a ogni momento che sembra da dimenticare in fretta, di regalarci un po' di sogno proprio quando ne abbiamo più bisogno. Una fotografia che non vogliamo ancora deciderci a buttare via, un pezzo di strada fatto assieme mentre non riusciamo a dirci una parola, la fatica di diventare sé stessi, contro ogni pigrizia, la bellezza che ci aiuta a non stare più nascosti. Sedici ruvide canzoni stracolme di tutto questo, tra chitarre indie rock che si infiammano, presunzioni giovanili e tanta, tantissima tenerezza.
Commenti
Posta un commento