In un’epoca disperata, in cui anche i più arroganti articoli sulla morte dell’indie rock sono ormai estinti, Wide Awake, il nuovo disco dei Parquet Courts è stato una botta di adrenalina iniettata direttamente nel nostro vecchio cuore post-punk con un gesto tanto deciso e perentorio quanto ingegnoso e acuto.
Soprattutto è un disco che dell’epoca disperata in cui esce parla senza timori o esitazioni. Pieno di dubbi e dilemmi, questo sì (“Allow me to ponder the role I play / In this pornographic spectacle of black death / At once a solution and a problem” – canta Violence), ma determinato a passarli in rassegna uno per uno, e a sbatterceli in faccia, insieme alle sue e alle nostre contraddizioni.
We are conductors of sound, heat and energy
And I bet that you thought you had us figured out from the start
Sono i due versi con cui si apre l'album, e a dire il vero, se c’era qualcosa che mi aspettavo “from the start” da questo nuovo lavoro del quartetto di Brooklyn, erano proprio testi come questo: l’ermetismo iper-analitico e frenetico, ma al tempo stesso combattivo e denso di proclami, di Andrew Savage è una delle cose più esaltanti successe nella musica di questi ultimi anni. Quanto vorrei che nel loro deludente merchandising ci fosse una maglietta con "Collectivism and autonomy are not mutually exclusive".
Che stiano parlando di estinzione del genere umano (Before The Water Gets Too High), dell’indifferenza che abbiamo imparato a mantenere quando entriamo in contatto con la povertà (NYC Observation) o della lunga e faticosa elaborazione di un sentimento di lutto (Death Will Bring Change, dedicata alla sorella, con un devastante coro di bambini che ripete il titolo quasi con allegria), il messaggio dei Parquet Courts punta a dissezionare quello che diamo per scontato nella nostra società, quello che siamo costretti a credere e quello che ci fa comodo credere. E non manca mai di sottolineare il dolore che ci trafigge in maniera costante, forse l'unica cosa di cui possiamo essere sempre sicuri, insieme all'ossessione per il profitto in cui siamo immersi.
Lately I’ve been curious, wondering
Do I pass the Turing test? Do I think?
I’m not sure I wanna know
E poi c’è il suono, o per meglio dire: i suoni. I Parquet Courts sono maestri nel gestire un assortimento di influenze e riferimenti e a tirarli fuori di volta in volta, secondo lo scopo, con cambi fulminei da una canzone all’altra, o anche all’interno della stessa traccia, con scarti di tempi che mi lasciano steso (vedi qui Almost Had to Start a Fight/In and Out of Patience oppure Total Football). A questo giro buttano nell'impasto qualche ritmo dub e reggae in più rispetto al passato (Back To Earth), e qualche frugale ornamento di tastiere, grazie probabilmente all'inattesa collaborazione con Brian Burton aka Danger Mouse nel ruolo di produttore. Ma per il resto c'è tanto dei ruvidi e potenti Parquet Courts che amiamo da sempre, e che ogni volta riesce incredibilmente a sembrare ancora più a fuoco e ancora più nitido: Wire, Minutemen, Devo, Talking Heads, aggiungiamo anche i Liquid Liquid nella danzereccia e travolgente title-track. Come questi ragazzi riescano a reggere il passo della loro iper-prolifica discografia, date queste premesse, è un miracolo.
I’ve learned how not to miss the age of tenderness
That I am so lucky to have seen once
And now that I’ve become older I’ve learned how to brush over
My history and how it’s sequenced
Ma è questo per me il vero miracolo: la sicurezza, la compiutezza di un gesto elegante e al tempo stesso netto e severo, da grande autore mi viene da dire, come se questo disco fosse un romanzo, con cui i Parquet Courts legano la canzone più toccante e personale in scaletta (Freebird II - in cui Savage racconta il rapporto con la madre tossica e allo sbando) con il finale del disco, la quasi scanzonata Tenderness (che a me fa venire in mente, non so perché, addirittura i Doors): "I can’t count how many times I’ve been outdone by nihilism / Joined the march that splits an open heart into a schism". Eppure, alla fine, come un "junkie going cold / I need the fix of a little tenderness". Ed è proprio lì, nonostante tutto, che gli intransigenti Parquet Courts ti dicono che riescono a ritrovare l'umanità in questi tempi disumani, a cantare una speranza sfatta e a brandelli, ma ancora viva, e io penso che sia una cosa davvero grandiosa e bellissima.
(mp3) Parquet Courts - Total Football
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