Una sola è la preghiera che rivolgo a Voi, canuti e sgualciti Dei dell'Indie Rock, e in eterno la ripeterò: non lasciate che io perda mai l'irresistibile desiderio di saltare in piedi e tirare pugni al cielo quando mi arriva addosso per la prima volta una canzone come Nothing At All degli Stroppies. Non lasciate mai, prodigiosi Spiriti del DIY, che io smetta di avere questa pelle d'oca quando queste chitarre a bassa fedeltà scalciano sopra il ritmo nervoso, e ogni battuta sembra accelerare dopo la precedente per tenere il passo del mio cuore. È necessario. È necessario come questo brivido. È necessario come l'insensatezza di questi versi: "mistime my move / it's aimed at nothing less / go on surprise me / it's nothing at all". Perché in quell'insensatezza io mi ritrovo e ritrovo tutto quello di cui ho bisogno (musica che agita e pensa e sorride). È necessario come il momento in cui gli Stroppies confessano "I never looked for / meaning in a song", perché immediatamente ogni "meaning" si manifesti e dia sostanza e forza a queste dieci canzoni. È necessario come il nonsenso nel titolo di questo album, Whoosh, che "conjures up images of something absurd and transient - two things fundamental in the experience of listening to or making good pop music". Jangling pop, kiwi pop, post-punk: possiamo trovarci tutti più o meno d'accordo su come modulare definizioni vecchie e nuove, ma quello che fa la differenza è la maniera in cui una canzone gentile, forse appena un po' lunatica o distratta, come My Style, My Substance può riuscire a prenderti per le spalle e sollevarti da terra quando entra il ritornello e quell'organo Flying Nun dissolve la tensione. Quella che fa la differenza è la giustapapposizione tra le voci di Gus Lord e Claudia Serfaty: a tratti sardonico lui; serena, quasi distaccata lei. Quello che fa la differenza è la giocosa leggerezza con cui gli Stroppies possono permettersi di cantare "on my way home / I built a language": grazie, era proprio il linguaggio di cui avevo bisogno! Non per nulla le parole che chiudono il disco recitano: "I can push my ideas faster yeah! / I'm switched on!". Da una specie di supergruppo formato da gente passata per Twerps,
Boomgates, The Stevens, Blank Statements e altri, non potevamo
aspettarci niente di meno che uno dei dischi dell'anno. I logori e antiquati Dei dell'Indie Rock ancora una volta hanno esaudito la mia preghiera.
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