Sembra quasi un delitto, appena all'inizio della primavera, innamorarsi così tanto di un disco che riesce a mettere in musica alla perfezione una sensazione da languida fine estate. Eppure mi è successo, e dentro le morbide canzoni di Simpatico mi abbandono e non provo nessun rimorso. I Golden Daze già dal nome sembrano abbracciare senza mezze misure un suono sognante, immerso nella luce ricca e sentimentale di quegli attimi che stanno per sciogliersi dentro un tramonto. Simpatico, seconda prova del duo ora residente a Los Angeles formato da Ben Schwab e Jacob Loeb (e che fino a qualche anno fa si faceva chiamare Golden Days), è un disco che eredita in eguale misura le atmosfere impalpabili dei Beach House (evidente, per esempio, in Amber) e la malinconica indolenza dei Real Estate (vedi la title-track), ma riesce a mescolare tutti queste suggestioni in un racconto che, pur procedendo per frammenti e piccole immagini, risulta superiore alla semplice somma dei propri elementi.
Non per niente, Simpatico è prodotto dai Golden Daze insieme a Vinyl Williams, mentre al mixer siede Jarvis Taveniere dei Woods, altro nome che può tornare utile per descrivere questa musica. Quelle armonie vocali che sembrano disfarsi come miraggi (ecco come suonerebbero i Clientele se al posto dell'eleganza british avessero quella disinvoltura West Coast), gli arrangiamenti che accumulano strati su strati per poi dissolversi tra i riverberi ("its overall tone slightly resembling the Brian Wilson-via-High Llamas school of ornate melancholia", secondo la All Music Guide), e quell'aria di fondo vagamente Anni Settanta, a tratti un po' Nick Drake ma senza tormenti, disegnano i contorni di un puro piacere da pigro pomeriggio d'estate, sempre sul punto di allontanarsi, di tramutarsi in ricordo indelebile mentre è ancora presente.
Drift, la mia canzone preferita dell'album (e che potrebbe quasi sembrare la cover di una traccia dimenticata di Chelsea Girl), a un certo punto descrive quell'attimo sospeso con questi versi: "It's just a hollow mood / too much of a good thing too soon / it's all returned to you in time". Mentre nelle note del disco, dopo i ringraziamenti, compare una piccola poesia tra virgolette (una citazione? Non sono riuscito a trovare la fonte), che si chiude con "I don't remember what I said, only how I felt". Ecco, tra questi due poli, tra il tempo che restituisce ogni cosa e i ricordi che a poco a poco svaniscono senza perdere di importanza, riesce a trovare un meraviglioso equilibrio di poesia questo album.
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