Arrivare a quasi un quarto di secolo di carriera e avere ancora l'energia e l'allegria per infilare citazioni più o meno nascoste dei Lucksmiths o dei Pastels o addirittura dei Nervous Twitch in mezzo ai versi, inventarsi un titolo come The Cat's Miaow In A Spacesuit (*), e rendere omaggi a figure come le Goldie & the Gingerbreads e Shirley Bassey: deve essere per forza l'indiepop - quel piccolo e trascurabile genere musicale che ripensa di continuo la propria storia - a mantenere in eterno il cuore così giovane. I Tullycraft sono considerati dei pilastri dell'indiepop, e a buona ragione. Loro è il perenne motto: "Fuck Me, I'm Twee"; loro è l'inno che ci riscatta da una vita di patimenti: "Pop Songs Your New Boyfriend Is Too Stupid To Know About". Ma questi scatenati ragazzi di Seattle, in giro dal 1995, non accennano a fermarsi ancora.
Tagliato il traguardo del settimo album, questo nuovo The Railway Prince Hotel pubblicato da Happy Happy Birthday to Me Records, i Tullycraft si confermano una band in grandissima forma, capace di sorprendere tanto quanto di far tesoro della propria lunga e non comune esperienza. Ehi, potremmo quasi dire: "Old Traditions, New Standards"! Il comunicato stampa spiega che questo nuovo disco è stato per la maggior parte scritto in studio, pratica inedita per loro, con una certa dose di urgenza e improvvisazione. Il risultato è che queste dodici canzoni suonano scanzonate e dirette, traboccano schietto divertimento e volano via in un attimo, lasciandoti il bisogno di tornare subito a suonarle dall'inizio.
Saranno quei suoni asciutti ed essenziali, chitarra, basso e batteria senza fronzoli che ogni tanto fanno spazio a una melodica, a un piano elettrico o alle classiche scorribande di fiati "à la Tullycraft", come nell'apertura tutta in levare di Midi Midenette. Saranno quei cori trascinanti, quei ritornelli a presa rapida che sgorgano a getto continuo dalle melodie di queste canzoni. Sarà lo humour ingegnoso delle di queste sovrabbondanti strofe (We Couldn't Dance To Billy Joel), stipate di name-dropping (Vacaville) e impliciti riferimenti spesso volutamente oscuri (It's Not Explained, It's Delaware), giravolte di ironia e ostinata ingenuità (Has Your Boyfriend Lost His Flavor On The Bedpost Overnight?), inside jokes e dichiarazioni d'amore (Beginners At Best), in cui tutto corre e corre (quasi sempre) a perdifiato, come se non potessimo mai fermarci un momento, riposare, perdere terribilmente tempo.
I Tullycraft di Railway Prince Hotel mettono in campo tutta l'energia di una band all'esordio, che esplode dalla voglia di farsi sentire, con il divertito disincanto dei veterani che non hanno paura di fare i conti con "It was long ago, and it was far away, and it was so much better than it is today". Forse è vero, forse è sempre stato così, la nostalgia è il pane quotidiano dell'indiepop, ma la risposta non si fa attendere: "Time tested markers of a whim / we always said we’d learn to swim / not soon enough and we don’t care / despite dispersions in the past / we kept it simple built it fast / it’s well enough and we don’t care".
E se mi è permesso aggiungere un'ulteriore nota, io direi molto, molto più che "well enough".
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