Una lunga passeggiata per il quartiere di Hornstull, i palazzi severi di una via senza caffè, un parco che scendeva verso l’acqua. La pioggia degli ultimi giorni d’agosto aveva inzuppato Stoccolma, e anche se il sole ora splendeva forte sopra i nostri silenzi impacciati, potevi già sentire l’annuncio dell’autunno dietro le foglie appena mosse dal vento e sui riflessi dorati tra le onde tranquille.
Mi domando se nella mia mente riuscirò mai a separare il suono dei Sambassadeur da quel ricordo di luce e passaggio, di colori che risplendevano e sbiadivano, di una malinconia che si torturava a cercare parole. “There’s nothing you can do to slow down”. Eppure, dovrei avere imparato ormai che anche i ricordi sono come i colori di quel pomeriggio, e ciò che prima era pieno e radioso prima o poi svanisce, diventando a volte qualcosa di simile al ricordo di un ricordo. E intanto, “Leaves keep on falling / Falling to the ground”.
A nove anni dal loro ultimo album, sono tornati gli svedesi Sambassadeur: un nuovo album, otto nuove canzoni, una nuova label, la stessa carezza nella voce di Anna Persson, lo stesso indiepop sontuoso, fatto di un’eleganza precisa e senza eccessivo sfarzo che si prodiga per tenere assieme, ancora e per sempre, la lezione di band come Clientele, Concretes o i primi Club 8, con quella fondante degli chansonnier francesi e soprattutto degli ABBA.
Survival (uscito soltanto in digitale ma non su Bandcamp) riesce a passare dai balletti sintetici di Stuck a una calda ballata come 41, dal jangle-pop della meravigliosa The Fall (posso quasi immaginarla in una cover dei Teenage Fanclub) al commiato dolente di Ex On The Beach, avendo come perno la travolgente Kors, una canzone all'altezza delle migliori e più memorabili composizioni della carriera della band.
Un nuovo disco che diventerà pieno di nuovi ricordi. "I think we need to stand here still, just for a while", ancora un attimo, ti prego.
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