Un punk scozzese dai capelli ormai
Dentro il vinile dell'album (uno sfarzoso splatter arancione e nero) c'è una fanzine che arriva da un'altra epoca. E non solo per i testi delle canzoni: quelle storie di vite un po’ ai margini, nella Glasgow dei primi anni Novanta, ragazzi che non hanno ancora deciso se andare al college oppure vivere di sussidi e sotterfugi, amici che si imbucano alle feste e poi tutto finisce in rissa, case occupate, carriere artistiche fallimentari e notti ad alto contenuto di sostanze. C'è anche una pagina che racconta il presente, ricercando che cosa ha perduto San Francisco del proprio vecchio spirito, ma anche, e soprattutto, dei propri vecchi luoghi ("no more kebab disco, sticky floor karaoke drag bar", canta Food Court). Uno degli intervistati risponde: "I miss the general gritty feeling of SF [...], things started to feel strange and mall-like, when walking in certain neighborhoods".
Io credo che sia proprio per combattere il "mall feeling", che pervade tantissima musica contemporanea, che questo disco vuole essere "gritty" in tutte le maniere possibili, riuscendoci meravigliosamente. E tutto questo viene cantato senza alcuna nostalgia (per esempio, l'evocazione della culla della controcultura americana, in Hate The Summer Of Love, non potrebbe essere più amara): anzi prevale uno humour dal tono secco e beffardo, cosa che rende Kebab Disco ancora più divertente.
"Loved the sound of your guitar / It's been done better before", canta la canzone di apertura I Can Do That, una specie di manifesto delle velleità e della disillusione. Ma io sono convinto che su queste "guitars" sia molto utile ritornare ancora oggi.
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