In questi lunghi giorni senza parole mi è capitato di ascoltare molto alcuni dischi strumentali (per esempio, l'ultimo e giovanilistico Squarepusher, o un paio di belle cassette di lo-fi hip-hop della Miles Apart Records o della Insert Tapes, vere ninne-nanne in forma di beat). Ma quello su cui sono tornato più volte e più volentieri è stato Exit Ghost di Paul Haslinger, una raccolta che si muove tra ambient e musica classica contemporanea, dal carattere intimo e riflessivo. Il pianoforte è spesso il protagonista delle composizioni (qui lo stesso Haslinger spiega in modo molto dettagliato i diversi strumenti che è andato a registrare in giro per il mondo), ma sono gli innesti di elettronica a creare gli scenari più suggestivi, immersi in un'aria di sogno e in un divagare apparentemente senza confini. Uno degli aspetti più interessanti di tutto il lavoro è la sensazione di assoluta libertà che lo attraversa: è possibile ammirare i grandi spazi disegnati da tracce come White Sun o l'apertura di Faltering Sky, oppure perdersi dentro i mille minuscoli glitch e campionamenti disseminati appena sotto la superficie del suono, come in Shuiyeh, una musica che continua a disfarsi e a ricomporsi.
Exit Ghost si divide tra momenti più luminosi, come Intrinsic, colma di un'infantile tenerezza, e altri più cupi (Valse I), a volte quasi sinistri (la title track). Ma l'album non perde mai quella sua atmosfera pacata e solenne, come se appartenesse a un altro tempo.
Paul Haslinger ha fatto parte dei Tangerine Dream negli Anni Ottanta ma da tempo si è costruito una nuova carriera come autore di colonne sonore per cinema e serie tv ("Halt and Catch Fire", "Resident Evil", "Underworld"...), e questo nuovo album non è da meno nel riuscire a evocare interi racconti e immagini di grandiosa intensità. Senza dire nemmeno una parola, accompagnando fantasmi.
Commenti
Posta un commento