Quando sei ossessionato da una canzone cerchi di capire qual è il motivo che ti tiene inchiodato a quei due minuti di musica, come se potessi davvero scomporre una fissazione, una mania, e non fosse invece la natura stessa di un'ossessione il suo darsi tutta intera, di peso, a schiacciarti e travolgerti. Dovresti soltanto lasciarti trasportare fino alla fine di quel girare in tondo ancora e ancora. Invece ti sforzi di mettere a fuoco dettagli, opponi un'inutile resistenza, pretendi di razionalizzare.
Ad esempio, Highway, la seconda traccia dell'EP di debutto di St. Panther, intitolato These Days. Non ne esco più. Mi dico subito che è quell'eco fantasma, quel metallico AH AH AH AH che mi insegue e si prende gioco di me. Poi realizzo che la canzone ha la sua spina dorsale nel basso: lo seguo senza pensare ad altro, è notte, le luci delle autostrade di Los Angeles mi scorrono accanto. Poi vengo rapito dal calore funk delle percussioni. La canzone è così scarna che puoi sentirle una per una, intendo sentirle addosso. E poi torna la voce leggera ma pungente di Daniela Bojorges-Giraldo: "show me some love", la sua spavalda confidenza e al tempo stesso la sua schiettezza, come dicesse "ehi, non posso farci niente" sorridendo. Tutto scivola fluido, "I can't come down, even when I try, I'm floating".
Poco più che ventenne, cresciuta a Irvine, California, tra le "skate beaches" di Newport e Huntington e le colonne sonore di "Tony Hawk's Pro Skater" (cita Lupe Fiasco e Public Enemy), canta un soul molto contemporaneo e consapevole (finisce nelle playlist di Michelle Obama e nelle serie di HBO) e trova produttori e collaboratori di alto profilo come Nate Mercereau, già al lavoro con Leon Bridges e The Weeknd, e Ricky Reed della Nice Life Records (già nominato ai Grammy, della sua infinita lista di credits cito soltanto Lizzo, che tutto sommato c'entra abbastanza con l'argomento di questo post). Ma quello che mi cattura dentro Highway (più di ognuna delle sua altre pur belle canzoni) è qualcosa di diverso, sconfina il genere e le etichette, e arriva forte anche a me che di solito parlo solo vecchio indiepop. St. Panther scrive, suona e canta ogni singolo elemento come se fosse inseguita dalla sua stessa passione, sta cercando di convincere il suo interlocutore, “if you fuck with me, I’ll put my heart on a plate”, ma sembra che in realtà sia lei stessa a non riuscire a contenere l'urgenza sinuosa della musica. Da un lato c'è la ragazza che si espone nella maniera più sincera possibile, e dall'altra c'è una grazia potente che brilla e conquista.
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