Are you the happiest you’ve been?

Lomelda - Hannah


Essere leggeri come baci, baci come luce, baci sulla testa, baci sulle ginocchia, i baci del mattino, la lenta luce del mattino, e noi dentro, leggeri, leggeri come baci. Ripeti il mio nome, ripeti il mio nome: Hannah. È già tutta la musica: nel nome, nella luce, nei baci.
“Lookin at me in the mornin say I can’t believe we kissed”
Hannah è il nuovo disco della cantautrice texana Hannah Read, meglio conosciuta come Lomelda. È un disco lieve, fluttuante, di una sincerità e di una franchezza che possono lasciare senza parole. E scrivo “possono” perché è anche un disco che sembra non voler fare troppo per farsi notare, pur nella sua meticolosa attenzione per ogni elemento e nella sua tenace richiesta di bellezza. Il personaggio di Hannah è più interessato a catturare certe istantanee d’amore, a mettere a nudo la propria anima, mescolando le parole di ogni giorno con quelle di una poesia delicata, traboccante stupita tenerezza. Anche quando gli arrangiamenti si fanno più pieni e coinvolgono più di voce e chitarra soltanto (come ci avevano abituato certe produzioni precedenti delle Read), e il suono di Hannah si muove verso un indie rock terso, spesso addolcito da archi, pianoforte o tocchi di synth, quella che resta in primo piano è “Hannah”, il suo sguardo aperto, il suo offrirsi quasi sfacciato, senza mediazioni, sereno anche nei momenti di incertezza e malinconia. È un disco vicino, vicinissimo. 
Si potrebbe continuare a descrivere questo album indicando vari gradi di affinità con artisti tipo Waxahatchee, Alex G, Big Thief o Soccer Mommy. Si potrebbe notare di passaggio come la stessa Lomelda, a un certo punto, canti un elenco di nomi che funziona già da “bibiliografia ragionata” a lato di queste stesse canzoni: “It’s Low, it’s Yo La Tengo / It’s The Innocence Mission / Frank Ocean, Frankie Cosmos”. Ma in fondo, dentro l’agrodolce quiete di queste canzoni non mi interessa “giudicare”, cercare altre spiagazioni: It’s Lomelda, per citare un incredibile titolo qui in scaletta. "It’s the only thing / It’s when I get home". Nel nome, la casa.
Il finale è una preghiera in forma di elusiva ballata, Hannah Please, e in quella riposa tutto questo disco forse piccolo, ma perfetto, terapeutico, libero: “Say somethin sweet, soft, as she sinks / Into me”.






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