"Für immer 16"

Françoise Cactus - Stereo Total


 Tra tutte le celebrazioni di ventennali che vengono elargite ogni settimana a qualunque album e a ogni artista, il mese scorso a nessuno di noi è venuto in mente di ricordare l’anniversario di Musique Automatique, il disco spartiacque della carriera degli Stereo Total, quello che in qualche modo chiudeva una prima e più esuberante parte della loro storia, e che per noi ballerini di provincia li consacrava in maniera definitiva con il piccolo inno Liebe Zu Dritt, anche detto, se vi sentivate più languidi, L’amour à trois
Eppure, sarebbe valsa la pena tornarci su: in questi tempi così consapevoli, veloci e informati, certi slanci ed entusiasmi del tutto “sbagliati”, fuori misura per eccesso di entusiasmo, potrebbero risultare illuminanti. A loro modo, sorprendenti. Ma tanto, come cantava la band di Berlino, “Tout le monde se fout des fleurs”. Quanto è fuori moda ora il concetto di post-moderno, forse superato da sé stesso e dalla complessità che aveva indicato, altrettanto sembra lontanissima oggi una band che pretende di cantare in ogni lingua della vecchia Europa, recuperando kitsch e punk, e che si fonda sopra il manifesto di due innamorati che decidono “No instrument should cost more than 50 Deutschmark”. Rendiamoci conto: "Deutschmark".
Questa sera, dopo aver letto la tristissima notizia della morte di Françoise Cactus, metà degli Stereo Total, sono tornato ad ascoltare quei primi dischi in ordine cronologico, a rivedere tutte quelle copertine così fatalmente Anni Novanta (ah, le compile Bungalow Records nel cassettone dei promo in radio!), a sorridere e quasi a commuovermi per tutte le citazioni così fine Novecento, ormai irrecuperabili neanche con una doppia giravolta di ironia, tutto quel mercatino del modernariato di tastiere di seconda mano e chitarre garage rock, però passate per cassette duplicate e consumate lungo strade di vacanze lunghissime.
Gli Stereo Total scherzavano e giocavano di continuo, eppure tenevano assieme chanson e synth, rockabilly e new wave, Beatles e Salt’n’Pepa, Serge Gainsbourg e Ingmar Bergman, Kreuzberg e Shibuya, Françoise Hardy e i Kraftwerk, bianco e nero Nouvelle Vague e karaoke al neon. Ed eri disposto a concedergli di tutto soltanto perché Françoise Cactus e Brezel Göring assieme erano un fumetto perfetto così. Bastavano quelle due parole, facilissime, che sembravano prelevate da qualche réclame Anni Sessanta, Stereo Total (un taglia&cuci vera chiave di questa band già dal nome), per evocare tutto il loro mondo. 
Come ha appena scritto Jonathan Toubin, “they possessed a Nancy & Lee / Jane & Serge couple dynamic, 80s Casios, 50s Bo Diddley cigar box guitar, cheap contemporary electronic gadgets, and conjured their own sound via a thrift store of high and low culture (and the smallest equipment ever!) - informed by decades of the most exquisite trash and treasure”.
Era incredibile come gli Stereo Total riuscissero a farci ascoltare e ballare del divertentissimo lo-fi indiepop cantando, però, nella lingua meno divertente, meno lo-fi e meno indiepop del mondo. E poi, al tempo stesso, si facevano forti dell’ingenua pretesa di mettere in scena una musica ecumenica, universalista e collettivista, passando dal tedesco al francese, dall’inglese allo spagnolo, a volte nello spazio di due versi. “C'est sexy, extatique, crazy, excentrique / Animale, romantique, C'EST COMMUNISTE!”. Ricordo anche il tentativo di un’improbabile strofa in italiano, durante uno dei loro tanti traballanti concerti, ovviamente per “L’amore a tre”: come a dire, più siamo più ci divertiamo. Ma oggi manca lei.








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