Addormentarsi davanti alla tv, un sabato sera degli anni Settanta, e poi risvegliarsi in una gelida cameretta a Glasgow, mentre sul piatto gira incessantemente un 45 giri dei Pastels: nell'immagine che gli A Minor Place scelgono per descrivere la propria origine ci sono già un po' tutti gli elementi che rendono la band di Teramo abbastanza unica nel piccolo panorama indiepop nazionale. Un elemento di sogno, qualcosa che si distacca dalla realtà di tutti i giorni ma che poi dentro la realtà ritorna, un certo isolamento e, ovviamente, riferimenti musicali sempre molto precisi.
L'altra grande componente della musica degli A Minor Place sono gli affetti, l'amicizia, l'amore. Quasi ogni loro nota e ogni loro strofa girano intorno a qualcosa che dal cuore trabocca, sia che si tratti del sentimento indirizzato a un amico, a una persona amata, a un ricordo o a qualche cantante. L'ultimo disco degli A Minor Place, un doppio LP dal titolo It'll End In Smile, è un'opera così sincera e "aperta" che, a tratti, hai quasi l'impressione di essere lì con loro, e di ascoltare conversazioni intime e riservate. E così, combattuto tra il timore di essere invadente e la curiosità per quest'opera curata nei minimi dettagli, che rivela una meravigliosa cultura musicale, ho girato qualche domanda ad Andrea Marramà, uno dei due fondatori della band.
Partiamo dalla fine: il nuovo album si chiude con cinque cover, e non è una cosa comune. In che modo si potrebbero intendere queste cinque canzoni come un primo identikit degli A Minor Place e della loro storia? Ce le puoi presentare, raccontando come le avete scelte?
Questo disco ha avuto una gestazione travagliata; all'inizio doveva essere un disco spartano, senza fronzoli. Una decina di canzoni, registrate alla bell’e meglio, copertina anonima. Alla fine, dopo un cambio di tecnico e millemila ripensamenti è uscito fuori il mostro che va in giro da un paio di mesi. Inevitabilmente, complice la quarantena, i tempi bui che siamo vivendo e la naturale inclinazione al pessimismo del sottoscritto, è diventato un disco a suo modo antologico, un punto sullo stato dell’arte di aminorplace, dall’inizio ad oggi.
Andremo avanti? E come?
L’inizio - dicevi.
Quello è stato un po’ di tempo fa, 2013, tipo... C’era una ragazza che voleva suonare e un basso nuovo che cercava casa. È stato naturale intendersi e mettersi a suonare dei riff, e a pensare di costruirci una canzone sopra. No, non è vero. È stato difficile, un sacco di resistenze da vincere, ma le canzoni uscivano e reclamavano una veste sontuosa. Così c’è stato un box di 45 giri, un album e adesso questo disco qui, doppio e con un sacco di canzoni. E un lato di cover.
Noi abbiamo fatto cover all’inizio, quando Roberta ha iniziato a suonare, per farla esercitare... Ne abbiamo fatte tante, e il metterne cinque sul disco ha senso perché dice della nostra passione per la musica, che vale più del suonare; questo è un caso fortunato, quello, la passione onnivora, è scelta consapevole. Quanto alle cinque che abbiamo scelto, come sa benissimo chiunque ami la musica pop, talvolta sono le canzoni che scelgono te e così, per una Flesh #1 o una Almost Prayed o una 1999 che non sono riuscite a uscire ce n’erano altre - queste qui - che hanno trovato la loro strada. Stanno nel disco perché dicono di noi forse anche di più delle altre 20.
Appurato che il titolo del vostro ultimo album It’ll End In Smile vuole giocare sia con i This Mortal Coil (rovesciandoli) sia alludere al famigerato capolavoro di Brian Wilson, qual è il sorriso che intravedete in fondo? C'è un'impronta fondamentalmente ottimista che volete dare alla vostra musica, oggi ancora più coraggiosa, dati i tempi?
Macché. Il titolo del disco - francamente la cosa più riuscita dell’intera operazione - cita TMC e Brian Wilson per indicare un percorso e una resa. Sai com’è, quando sei più giovane ti vergogni di far sapere che ti piace - che so... Beauty School Dropout, sei duro e puro, Song To The Siren e basta. Col tempo invece capisci che non ha senso resistere, allarghi le braccia e vieni investito da fiumi di canzoni meravigliose.
Brian Wilson... pensa un po’, quando ero giovane e sciocco quella roba lì mica la sentivamo, non davanti agli altri, perlomeno; e invece...
Ottimismo da queste parti purtroppo direi di no.
Un po' collegandomi alla domanda sopra, vengo a chiederti conto della mia strofa preferita del disco, quella di Sad Songs in cui dite che c'è troppa tristezza a questo mondo per mettersi anche ad ascoltare canzoni tristi: la musica (o forse solo l'indiepop?) per voi deve avere questo elemento consolatorio?
Non so; non credo. Penso che accompagni e doni enfasi a quel che ti accade, ma non cerco salvezza in una canzone pop. E la frase che tu citi la citiamo noi a nostra volta.
Qual è la storia di quella canzone?
Senti com’è andata: aminorplace ricoverato in una clinica per i disturbi del sonno, irrompe l’infermiera per il prelievo dell’emogas analisi. Lui O Caroline dei Matching Mole in cuffia.
"Che ascolti?” - fa lei
“Musica triste” le risponde lui.
“C’è già troppa tristezza in questo mondo - sentenzia lei - non possiamo permetterci il lusso di ascoltare canzoni tristi”
Come darle torto?
Ogni vostro album sembra sempre contemporaneamente il primo e l'ultimo, riuscendo a racchiudere i manifesti programmatici dei più appassionati esordi e la solennità dei commiati in grande stile. In che modo It’ll End In Smile invece è diverso da The Youth Spring Anthology e dal sontuoso box-raccolta di 45 giri Staying Home?
Forse un po’ di disillusione in più col passare degli anni, un miglioramento - nel caso, leggerissimo... - nella pronuncia inglese, questi i cambiamenti più evidenti per me; per dire che alla fine suoniamo sempre la stessa canzone. E poi - sì, è vero, ci piace organizzare ogni disco, ogni concerto come fosse un evento speciale, e ognuno dei dischi che abbiamo fatto può essere inteso come roba a sé stante. Il box era qualcosa di magico e definitivo, una condanna: qualsiasi cosa avessimo fatto dopo non avrebbe retto il confronto. Youth Spring un concept (???) dedicato a un posto magico che non c’è più, quest’ultimo un album di fotografie del matrimonio tra me e Roberta.
Domanda obbligatoria: dentro Game, Set, Match citate Robyn Hitchcock e gli Psychedelic Furs, e tralasciando il fatto che amo le canzoni che riescono a citare a loro volta altre canzoni (mi fa un po' lo stesso effetto di quando in un film un attore guarda in macchina), ci puoi spiegare che cosa racconta quella canzone?
È una canzone piuttosto eloquente sul carattere di aminorplace, sulla sua pervicace mancanza di autostima e sulla sua capacità meravigliosa di piangersi addosso. E, dentro, una cosa curiosa che gli è capitata quando scriveva storie per un’amica: ce n’era una in cui il protagonista indossava una sciarpa lunghissima con ricamata sopra una frase letta ne “I Campi Magnetici” di Breton e Soupault.
“IL N’Y A PAS MOYEN DE S’ENNUYER: CE SERAIT AU DETRIMENT DES CARESSES ET TOUT A L’HEURE NOUS N’Y SERONS PLUS”
Le piacque talmente che quel Natale gliela regalò, fatta da lei che non sapeva nemmeno lavorare a maglia. Ed era il 1987 e tutto era più bello e c’erano gli Psychedelic Furs e Robyn Hitchcock e aminorplace aveva quel “magic touch” ormai perso irrimediabilmente, bla, bla, bla. Game Set Match.
Quando si parla degli A Minor Place sembra inevitabile perdersi nel namedropping: dai Pastels agli Yo La Tengo, passando per i Belle and Sebastian o i Felt. Si intuisce una collezione di dischi impeccabile dietro la vostra musica: è mai capitato che diventasse un peso o un ostacolo ingombrante quando stavate scrivendo una nuova canzone? E che, invece, vi servisse per "prendere in prestito" qualche idea?
Qui le cose si fanno serie. Non solo aminorplace non esisterebbe senza quella collezione, ma non esisterebbero nemmeno Andrea e Roberta, altro che ostacolo ingombrante! E sì, più di una canzone è nata imbastendo una cover, stessi accordi, altra melodia. Altre sono inconsapevolmente somiglianti, altre ancora sono zeppe di citazioni affettuose. Dubito anzi che ci sia una nostra canzone senza un riferimento alla cultura pop, se così si può dire.
Un'ultima domanda sugli equilibri della band: A Minor Place nascono da Roberta e Andrea, coppia nella vita e nell'arte, mentre poi nel disco suonano anche altre persone e, per esempio, le vostre parole - se non sbaglio - vengono cantate anche da altri. Come funziona la squadra, per usare una metafora sportiva, visto che nel disco si parla anche di Total Football?
Essì. Quello che doveva essere un duo che non avrebbe mai suonato mai dal vivo si è trasformato col tempo in un complesso di musica leggera - come si diceva una volta - formato da un sacco di gente; fino a 9 persone sul palco. C’è qualcuno che è passato e si è fermato un po’, qualcun altro che si è fermato giusto il tempo di annusarci, e qualcun altro che c’è da sempre ed è più aminorplace di noi. Penso a Luciano, che suona la batteria e trova le cose, a Francesca che suona di tutto e canta, a Gigi, che suona la chitarra o ne viene suonato... e poi Emanuela, Angelo. Gesù, quanta gente.
Diciamo che la composizione è sempre roba casalinga, le versioni live dei brani invece nascono e si modificano in sala prove. Che è casa nostra, in effetti. A Minor Place, no?
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