La sufficienza con cui si pensa di liquidare l'indie rock nel 2021, quei sorrisetti presuntuosi per i “dischi ancora fatti con le chitarre”, i discorsetti pedanti sulla stanchezza di un genere ormai anacronistico: tutto per me si scioglie e svanisce. Qui c’è la primavera, qui c’è il disco d’esordio degli Smile che sembra suonare più forte e più veloce a ogni giro, e io so da che parte stare.
Dentro The Name Of This Band Is Smile, tra un riff Hüsker Dü e un arpeggio R.E.M., gli Smile riempiono ogni strofa di immagini e riferimenti al correre, al partire, al non arrendersi e al non lasciarsi travolgere dagli eventi o anche soltanto dagli inevitabili errori: “three steps forward and one step back” è il verso con si apre l’album, e in qualche modo rappresenta già tutto un consapevole programma. È vero, combattiamo ogni giorno lo sconforto, la sfiducia, la mancanza di motivazione, ma sappiamo che questa è la nostra strada e non torneremo indietro: “we keep on yearning / for every new mistake”.
Anche quando Broken Kid sembra cantare un momento di disperazione (“I’ve been struggling all my life / walking side by side / with all this grief, all this strife”), poi arriva subito una Time To Run a ricordare di non voltarsi mai indietro: “Just climb across the line they’ve drawn / Escape their maw now”.
E le chitarre rincorrono e spingono: dai momenti più ruggenti e Replacements (ma anche Mission of Burma o Wedding Present), a quelli più jangling e Lemonheads (ma anche Teenage Fanclub o Get Up Kids). Nell’intervista di un anno fa su queste pagine, gli Smile mostravano di avere le idee già chiare: “Sulle chitarre poi il discorso è molto interessante perché, ogni volta che vengono date per morte, tornano a dire cose cariche di significato”. Il significato, ora lo sappiamo, per il quartetto torinese è chiaro, e si può leggere nelle parole che chiudono l'album: “we will manage despite you all / we’ll take charge from here on”.
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