“Misremember the past, it’s our national persona” osservano i Catenary Wires in Three-wheeled Car, un’amara canzone che ritrae una vecchia coppia di innamorati unita soprattutto dal rancore e dal disprezzo verso il prossimo. Una coppia che, dall’alto di una di quelle magnifiche scogliere che disegnano la costa meridionale della Gran Bretagna, osserva l’oceano e l’orizzonte e non riesce a vedere altro che minacce e pericoli, trovando poi rifugio in un meschino senso di superiorità, nel desiderio di rivalsa e nella chiusura verso il mondo esterno. “Deep down we’re as English as the weather”.
Quella coppia e quel sentimento sono chiaramente una metafora dello stato della nazione, secondo i Catenary Wires, quello che ha portato l’Inghilterra verso la Brexit, la paranoia e il primato della destra. Sono anche una delle immagini che ho trovato più memorabili e riuscite dentro il loro terzo, tagliente e a tratti crudele disco, The Birling Gap.
Come raccontano in una bella intervista su Indieforbunnies, “volevamo fare un album che fosse politico, non per essere arrabbiati, ma per cercare di capire la mentalità delle altre persone della nostra generazione”. Amelia Fletcher e Rob Pursey non hanno bisogno di presentazioni, se amate anche soltanto un po’ l’indiepop: Talulah Gosh, Heavenly, Marine Research, Tender Trap, e più di recente Swansea Sound… Si può dire, senza timore di esagerare, che ogni loro progetto abbia fatto un po’ la storia di questo piccolo e troppo trascurato genere musicale. Un genere musicale che tratta spesso la nostalgia come un’idea centrale e preziosa, la venera senza incertezze, senza considerare troppo le possibili conseguenze.
Una delle quali, come ci ha rivelato questo tetro presente, è che “We talked for years / Our phobias and fears / Spent so much time / In our own minds”, senza curarci davvero di quanto stava succedendo là fuori, del disastro culturale e ambientale che stava ormai travolgendo tutti. Le superbe scogliere inglesi si stanno erodendo con più velocità del previsto a causa dei cambiamenti climatici: a livello simbolico, non si potrebbe descrivere meglio l’ottusa fragilità dei nostri tempi.
Dentro The Birling Gap non mancano certo aperture di speranza: bisogna andarle a cercare nelle canzoni in cui l’amore cerca di ritrovare la sua perduta sincerità, nonostante tutto, “As the language practises its slow violence”. Amelia e Rob sembrano dirci che bisogna ripartire da qui, da queste “faces on the rail line” che scivolano via e che dobbiamo trovare la forza di fermare, di incontrare.
I Catenary Wires traducono in musica questo doloroso e complesso groviglio emotivo escogitando traccia per traccia una serie di soluzioni ingegnose, passando da un folk bucolico e agrodolce a delicati omaggi ai Kinks e ai Go-Betweens, e alludendo, con una certa ironia, anche all’ossessione per quel synth-pop vintage da indie dancefloor. Il comunicato che presenta l’album trova questa curiosa formula: “it’s what Nancy and Lee would have sounded like if they were still around, watching California become the home of the digital giants and the scene of terrifying forest fires”. Non sono sicuro sia davvero la sintesi più chiara per convincere qualcuno ad ascoltare questo disco, ma di certo cattura l’essenza di un discorso oggi più che mai necessario all’interno dell’indiepop.
Come raccontano in una bella intervista su Indieforbunnies, “volevamo fare un album che fosse politico, non per essere arrabbiati, ma per cercare di capire la mentalità delle altre persone della nostra generazione”. Amelia Fletcher e Rob Pursey non hanno bisogno di presentazioni, se amate anche soltanto un po’ l’indiepop: Talulah Gosh, Heavenly, Marine Research, Tender Trap, e più di recente Swansea Sound… Si può dire, senza timore di esagerare, che ogni loro progetto abbia fatto un po’ la storia di questo piccolo e troppo trascurato genere musicale. Un genere musicale che tratta spesso la nostalgia come un’idea centrale e preziosa, la venera senza incertezze, senza considerare troppo le possibili conseguenze.
Una delle quali, come ci ha rivelato questo tetro presente, è che “We talked for years / Our phobias and fears / Spent so much time / In our own minds”, senza curarci davvero di quanto stava succedendo là fuori, del disastro culturale e ambientale che stava ormai travolgendo tutti. Le superbe scogliere inglesi si stanno erodendo con più velocità del previsto a causa dei cambiamenti climatici: a livello simbolico, non si potrebbe descrivere meglio l’ottusa fragilità dei nostri tempi.
Dentro The Birling Gap non mancano certo aperture di speranza: bisogna andarle a cercare nelle canzoni in cui l’amore cerca di ritrovare la sua perduta sincerità, nonostante tutto, “As the language practises its slow violence”. Amelia e Rob sembrano dirci che bisogna ripartire da qui, da queste “faces on the rail line” che scivolano via e che dobbiamo trovare la forza di fermare, di incontrare.
I Catenary Wires traducono in musica questo doloroso e complesso groviglio emotivo escogitando traccia per traccia una serie di soluzioni ingegnose, passando da un folk bucolico e agrodolce a delicati omaggi ai Kinks e ai Go-Betweens, e alludendo, con una certa ironia, anche all’ossessione per quel synth-pop vintage da indie dancefloor. Il comunicato che presenta l’album trova questa curiosa formula: “it’s what Nancy and Lee would have sounded like if they were still around, watching California become the home of the digital giants and the scene of terrifying forest fires”. Non sono sicuro sia davvero la sintesi più chiara per convincere qualcuno ad ascoltare questo disco, ma di certo cattura l’essenza di un discorso oggi più che mai necessario all’interno dell’indiepop.
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