Nel luglio del 2001, mentre usciva Is This It, l’esplosivo esordio degli Strokes, cadeva il ventennale di alcuni altri dischi altrettanto influenti, come il primo dei Duran Duran, il primo dei Tom Tom Club oppure The Only Fun In Town dei Josef K. Nel giro di pochi mesi, in quel remoto anno, erano usciti Fire Of Love dei Gun Club, Penthouse & Pavement degli Heaven 17, Trust di Elvis Costello, Computer World dei Kraftwerk, Don't The Kids Just Love It dei Television Personalities, Talk Talk Talk degli Psychedelic Furs… e potremmo andare avanti ancora per un pezzo. Ma non sto facendo confronti tra gli Strokes e tutti questi nomi a cui è dedicato un capitolo nella Storia della Musica, con le maiuscole, e non sto nemmeno facendo un moraleggiante confronto tra il 1981 e il 2001.
Questo mio enfatico elencare è soltanto un modo per ricordare a me stesso quanto siano lunghi, profondi e definitivi Vent’Anni. Quanto mi sarebbe sembrato “lontano”, all’inizio della frenetica estate del 2001, ripensare, per esempio, a Ghost In The Machine dei Police o a Dare degli Human League. Avevamo di meglio da fare, più veloce e più vicino.
Ecco, oggi, 30 luglio 2021, mi costa uno sforzo copernicano riconoscere e accettare che tra Is This It e me, ora, esiste la stessa distanza che esisteva tra quella stagione imperfetta ma eccitata e l’estate in cui usciva, per esempio, My Life In The Bush Of Ghosts di Brian Eno. Ammettere che sono passati vent’anni tra il me stesso seduto a questo portatile e il me stesso che cercava bootleg australiani degli Strokes su Kazaa. Cazzo.
Vent’anni degli Strokes, oggi celebrati da Stereogum come si conviene a un blog ora professionale, e io qui nel tinello che invece ripenso a quel piccolo blog incantevole che si chiamava The Modern Age: sarebbe stato un sogno passare una serata insieme a lei, in giro per i bar di Brooklyn e Manhattan, dove tutti sembravano conoscerla, e stavano mettendo su gruppi come Yeah Yeah Yeahs o i Candy Darlings. Anche lei starà celebrando il ventennale stasera?
The Modern Age, la canzone, per me resterà per sempre legata all’incredulità della prima volta che l’ho sentita alla radio: ero in macchina lungo Via Zanardi, periferia di Bologna, stavo arrivando di corsa e il mio programma preferito di quell’epoca la stava suonando fortissimo. Fu una folgorazione. In realtà è quello, per me, il vero ventennale: quello stupore e quell’entusiasmo, era appena uscito il 45 giri, era la fine dell’inverno e ci mettemmo a comprare famelici NME tutte le settimane. Quando arrivò Is This It, in un certo senso, a me sembrò più la conclusione di un arco, di un periodo tesissimo e nuovo, che l’inizio di qualcosa. Vedi come eravamo già snob da quattro soldi senza rendercene conto, anche senza sapere e capire niente? The Modern Age porterà sempre con sé tutte le sue illusioni e le sue contraddizioni: “Start to pretend, stop pretending”.
In mezzo, c’era stata tutta un’ingenuità (si troverà ancora via Archive.org quella pagina del fan club italiano degli Strokes su Digilander?), tutta un’esuberanza digitale che stavamo imparando proprio allora a maneggiare, e che non si ripeterà. Non a caso, fu nel 2001 che poi aprimmo un blog e che cominciammo a fare la radio (e Is This It fu il nostro primo disco dell’anno, ovviamente). In mezzo c’era stato anche un irragionevole viaggio solitario in Scozia, fatto soltanto per vedere da vicino gli Strokes nel loro primo tour europeo. Piccoli club, ragazzi pronti alla rissa, i Moldy Peaches messi piuttosto male, ragazze che invadevano i camerini. Forse potrei riciclare le mie sciocche ed esaltate email spedite da là per tirarne fuori qualche proto-fanzine.
Vent’anni sono una generazione, vecchio mio, ed è “Hard To Explain” soltanto per te che vuoi restare ancora aggrappato a quegli skinny jeans in cui non entri più, a certe cravatte regimental e a band che fanno dischi elettrici da ascoltare il sabato sera mentre ti prepari per uscire.
Questo mio enfatico elencare è soltanto un modo per ricordare a me stesso quanto siano lunghi, profondi e definitivi Vent’Anni. Quanto mi sarebbe sembrato “lontano”, all’inizio della frenetica estate del 2001, ripensare, per esempio, a Ghost In The Machine dei Police o a Dare degli Human League. Avevamo di meglio da fare, più veloce e più vicino.
Ecco, oggi, 30 luglio 2021, mi costa uno sforzo copernicano riconoscere e accettare che tra Is This It e me, ora, esiste la stessa distanza che esisteva tra quella stagione imperfetta ma eccitata e l’estate in cui usciva, per esempio, My Life In The Bush Of Ghosts di Brian Eno. Ammettere che sono passati vent’anni tra il me stesso seduto a questo portatile e il me stesso che cercava bootleg australiani degli Strokes su Kazaa. Cazzo.
Vent’anni degli Strokes, oggi celebrati da Stereogum come si conviene a un blog ora professionale, e io qui nel tinello che invece ripenso a quel piccolo blog incantevole che si chiamava The Modern Age: sarebbe stato un sogno passare una serata insieme a lei, in giro per i bar di Brooklyn e Manhattan, dove tutti sembravano conoscerla, e stavano mettendo su gruppi come Yeah Yeah Yeahs o i Candy Darlings. Anche lei starà celebrando il ventennale stasera?
The Modern Age, la canzone, per me resterà per sempre legata all’incredulità della prima volta che l’ho sentita alla radio: ero in macchina lungo Via Zanardi, periferia di Bologna, stavo arrivando di corsa e il mio programma preferito di quell’epoca la stava suonando fortissimo. Fu una folgorazione. In realtà è quello, per me, il vero ventennale: quello stupore e quell’entusiasmo, era appena uscito il 45 giri, era la fine dell’inverno e ci mettemmo a comprare famelici NME tutte le settimane. Quando arrivò Is This It, in un certo senso, a me sembrò più la conclusione di un arco, di un periodo tesissimo e nuovo, che l’inizio di qualcosa. Vedi come eravamo già snob da quattro soldi senza rendercene conto, anche senza sapere e capire niente? The Modern Age porterà sempre con sé tutte le sue illusioni e le sue contraddizioni: “Start to pretend, stop pretending”.
In mezzo, c’era stata tutta un’ingenuità (si troverà ancora via Archive.org quella pagina del fan club italiano degli Strokes su Digilander?), tutta un’esuberanza digitale che stavamo imparando proprio allora a maneggiare, e che non si ripeterà. Non a caso, fu nel 2001 che poi aprimmo un blog e che cominciammo a fare la radio (e Is This It fu il nostro primo disco dell’anno, ovviamente). In mezzo c’era stato anche un irragionevole viaggio solitario in Scozia, fatto soltanto per vedere da vicino gli Strokes nel loro primo tour europeo. Piccoli club, ragazzi pronti alla rissa, i Moldy Peaches messi piuttosto male, ragazze che invadevano i camerini. Forse potrei riciclare le mie sciocche ed esaltate email spedite da là per tirarne fuori qualche proto-fanzine.
Vent’anni sono una generazione, vecchio mio, ed è “Hard To Explain” soltanto per te che vuoi restare ancora aggrappato a quegli skinny jeans in cui non entri più, a certe cravatte regimental e a band che fanno dischi elettrici da ascoltare il sabato sera mentre ti prepari per uscire.
Ma nonostante tutto il backlash di quel 2001 e degli anni a seguire, nonostante la stanchezza crescente a ogni nuovo giro di hype, sempre più visto, rivisto e risaputo, nonostante NME alla fine non fosse più così divertente da leggere, e nonostante ogni mossa successiva degli Strokes sembrasse avere l’unico scopo di allontanarli da quella accecante immagine della giovinezza che avevano saputo incarnare al loro debutto, ripenso ancora a quell’anno, e mi sembra appena ieri. Il tempo è passato, abbiamo suonato tantissima musica, abbiamo sprecato parole, abbiamo ballato e brindato e amato, ed è tutto ancora qui, istantaneo, come una polaroid, "Last nite, she said".
Ciao Strokes, ciao 2001.
(mp3) The Strokes - The Modern Age
Ciao Strokes, ciao 2001.
(mp3) The Strokes - The Modern Age
Commenti
Posta un commento