«My songs may sound like love songs, but most of them aren’t about personal relationships, they’re about class distinctions. You could say that the tone is anti-capitalist in nature».
Non so come la pensiate voi, ma per me basta questa casuale citazione da un'intervista a Andy Pastalaniec per:
1) ricordare una volta di più che l'indiepop non è soltanto semplici melodie zuccherose, rime baciate e borghesia conservatrice nascosta dietro un’estetica innocente. Non lo è stato dalle sue origini e ancora oggi il livello di consapevolezza tra moltissime band contemporanee è alto.
2) farmi apprezzare ancora di più, se possibile, il progetto solista di Pastalaniec, nome che ci era già familiare all’interno della formazione dei Seablite come batterista (e prima ancora negli Odd Hope e nei Cruel Summer).
In questi suoi nuovi Chime School, invece, esprime tutto il suo amore per il suono classico della Rickenbacker e della chitarra a 12 corde, e il suo album d’esordio, scritto tra un concerto e l’altro con le sue svariate bands e pubblicato da Slumberland (non c’è quasi bisogno di dirlo), lo dichiara in maniera perfetta. Dai Byrds agli Springfields, passando per i Razorcuts, i Primal Scream primo periodo o per i più vicini Ducks Ltd., queste fulminanti dieci canzoni colpiscono per immediatezza, concisione e naturalezza.
Chitarre scintillanti, produzione impeccabile, ritornelli incandescenti: sembra un distillato di quanto di meglio uscito dalla Bay Area negli ultimi anni. I momenti più incalzanti della scaletta (Dead Saturdays oppure It's True, per esempio) sono quelli in cui i Chime School sembrano centrare davvero l’obiettivo e trovare la propria ragione d'essere. Ma anche nelle canzoni che lasciano più spazio a una malinconia mai troppo languida (Radical Leisure oppure Gone Too Fast) non si spengono mai una certa urgenza e una squillante tensione.
Chime School non cerca effetti speciali, questo è jangling pop allo stato puro, un album che non lascia tregua e che suona già come un "Best Of" dall’inizio alla fine.
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