Ormai sul finire dell'anno secondo dell'Era Pandemica, bisogna riconoscere che non è semplice tirare le somme... da qualche parte. Davvero è passato un altro anno? Ti sembra già Natale? È ancora dicembre? Stiamo sempre posticipando, anticipando o controllando date, incerti sul tempo che è andato e quello che si avvicina, e ormai non fanno più ridere nemmeno i meme tipo "me still processing 2020".
In mezzo a tutto questo, tra i pochi punti fermi per me ci sono ancora quei dischi e quelle band per i quali avevo cominciato vent'anni fa un programma alla radio e questo trascurabile blog. Continuo ad amare un certo indiepop e indie rock (etichette che nel frattempo hanno trasformato parecchio i loro significati e il loro uso) e continuo ad amare condividerlo in onda e su queste pagine senza nessuna pretesa. Nell'anno del ventennale di polaroid, mi sono reso conto che fare la stessa cosa quasi ogni settimana per vent'anni può anche essere un evento normalissimo nella vita di qualcuno, e in fondo non è stato niente di così "epocale" nemmeno per me, per quanto sia stato abbastanza utile per non perdere del tutto la bussola in questi ultimi lunghi e complicati mesi.
In mezzo a tutto questo, tra i pochi punti fermi per me ci sono ancora quei dischi e quelle band per i quali avevo cominciato vent'anni fa un programma alla radio e questo trascurabile blog. Continuo ad amare un certo indiepop e indie rock (etichette che nel frattempo hanno trasformato parecchio i loro significati e il loro uso) e continuo ad amare condividerlo in onda e su queste pagine senza nessuna pretesa. Nell'anno del ventennale di polaroid, mi sono reso conto che fare la stessa cosa quasi ogni settimana per vent'anni può anche essere un evento normalissimo nella vita di qualcuno, e in fondo non è stato niente di così "epocale" nemmeno per me, per quanto sia stato abbastanza utile per non perdere del tutto la bussola in questi ultimi lunghi e complicati mesi.
Anche per questo, mi piace tenere fede alla tradizione della Classifica Dei Dischi Di Fine Anno, un'istantanea di queste stagioni così contraddittorie che non vuole certo stabilire quali sono stati "i dischi migliori" dell'anno, ma di stare qui come un segnalibro, piccolo diario provvisorio di un anno in cui, altrimenti, rischio di conservare troppi ricordi confusi e slegati.
Qui sotto trovate la nostra classifica "doppia", fatta assieme alla voce che per fortuna mi fa compagnia in onda, Nur Al Habash, e c'è anche il podcast "integrale" dell'ultima puntata andata in onda su NEU Radio: tutta la classifica suonata per intero, tra un brindisi e l'altro!
Enzo
Nur
10
Un disco che racconta in maniera efficae questo presente deragliato e danneggiato in maniera irrimediabile, che però riesce a trovare di continuo spiragli per pavoneggiarsi e, al tempo stesso, farsi beffe di sé stesso e della propria sempre più fragile sanità mentale. Chitarre asciutte e frenetiche che rileggono la lezione di band come Minutemen o Feelies, e un torrente di parole ferocissime e divertentissime: non chiedo altro!
La carriera musicale di Margherita Vicario inizia nell’ormai lontano 2014 con un disco a metà tra teatro-canzone e atmosfere fiabesche alla “meraviglioso mondo di Amelie”. Un mix senza dubbio originale e anacronistico per la scena italiana dell’epoca, e forse non adatto a tutti i palati, ma che comunque rivelava già al tempo un enorme talento a chiunque l’avesse vista dal vivo. Passano gli anni e nel frattempo Vicario mette a fuoco con tutta calma la sua nuova direzione musicale, senza cedere a mode o esigenze di marketing (i singoli del disco targato 2021 sono iniziati ad uscire nel 2019!). “Bingo” arriva quindi alla fine di un percorso musicale completo, maturo, ispirato. Un pop che racconta la vita e l’Italia dal punto di vista di una donna giovane, senza per forza dover cadere nel cliché della canzone d’amore. Una prospettiva sincera e divertente, a tutti gli effetti inedita nel nostro panorama musicale.
9
David Christian And The Pinecone Orchestra - For Those We Met On The Way
Anche se questo nuovo disco di David Feck, fondatore e voce dei Comet Gain, esce sotto un altro nome, si tratta pur sempre di un nuovo, grande disco dei Comet Gain, e titoli come The Ballad For The Button-Downs oppure Goodbye Teenage Blue sono lì a dimostrarlo. Oltre a Feck ci sono un paio dei suoi vecchi compagni di band, un paio di componenti dei Clientele, Gerard Love dei Teenage Fanclub e qualche altro musicista dell'underground londinese, nonostante il cantante si sia trasferito in Francia ormai da un paio d'anni, post-Brexit. E anche se questo nuovo disco dei Comet Gain è uscito soltanto da poche settimane, non posso immaginare un anno in cui esce un disco dei Comet Gain in cui quel disco non sia presente in una mia Top10 di fine anno. Perché i Comet Gain sono e resteranno nella Top10 di ogni anno della mia vita.
Clairo - Sling
Un disco sussurrato, quasi mormorato sotto voce. La ventitreenne Clairo arriva alla seconda prova discografica a due anni dal disco di debutto “Immunity” che l’aveva consacrata nell’olimpo del pop indipendente americano, e lo fa con un lavoro che gioca in sordina. Arrangiamenti quasi jazz, armonie che sembrano uscire fuori da sotto un piumone, uccellini che cinguettano in lontananza. Un pop che passa tra praterie di Joni Mitchell e boschi di Belle & Sebastian, e che mantiene saldamente la calma nonostante tutto intorno vada a rotoli.
8
The Natvral - Tethers
La maturità e, al tempo stesso, ancora l'irresistibile voglia di scrollarsela di dosso. La seconda vita della carriera musicale di Kip Berman, dei nostri amati Pains Of Being Pure At Heart, racconta questo passaggio: da Brooklyn a una cittadina del New Jersey; dalla band sempre in tour alla vita di padre di famiglia; dall'irruente suono figlio dello shoegaze e del noise pop alle influenze più folk rock e alla predilezione per certe tracce acustiche, influenzate da Dylan e Neil Young, con la stessa immutata e magica capacità di raccontare storie.
Julia Bardo - Bauhaus, l’appartamento
Giulia Bonometti, in arte Giulia Bardo, ha iniziato ad esplorare l’indierock da giovanissima, in una band bresciana di nome Own Boo. La band ha avuto un’esistenza lampo, lei si è nel frattempo trasferita a Manchester, ha suonato con un’altra formazione con hype e futuro promettente, i Working Men’s Club, fino a decidere di fare da sola. “Bauhaus, l’appartamento” è il primo esperimento in questa direzione, pubblicato da Wichita (e scusate se è poco). Un compendio di indierock e folk gustosissimo e pieno di singoli che entrano in testa, un lavoro che prende tanto dagli anni ‘90 inglesi quanto dagli anni ‘70 americani, ma che alla fine ha una sola voce: la sua.
7
Karen Peris - A Song Is Way Above The Lawn
Conosciamo la magia della voce di Karen Peris dai dischi degli Innocence Mission, la band che condivide con il marito Don Peris. Eppure, A Song Is Way Above The Lawn è a tutti gli effetti un album solista, scritto nel corso di sette anni e in cui il folk pop acustico che troviamo nei dischi degli Innocence Mission sembra farsi ancora più intimo e raccolto. Le note del pianoforte sembrano sussurrate, le corde delle chitarre sono calme carezze, e quando gli arrangiamenti all’improvviso si riempiono (come nella meravigliosa I Would Sing Along oppure nella jazzata This Is A Song In Wintertime) è come se non potessi trattenere lacrime di gioia e riconoscenza.
Hand Habits - Fun House
La storia di “Fun House” è simile a quella di molti altri dischi usciti negli ultimi due anni: la pandemia ha costretto o spinto molti artisti a ritirarsi in case immerse nella natura e sperimentare con la musica e con sé stessi. È quello che è successo a Meg Duffy, che accompagnat* da Sasami (che ha prodotto il disco) e King Tuff (che lo ha mixato) ha ritrovato letteralmente una nuova versione di sé, sia dal punto di vista musicale che personale. Una metamorfosi che si tocca con mano lungo il corso di dodici canzoni bellissime, silvestri, finalmente serene.
6
The Umbrellas - The Umbrellas
Gli Umbrellas vogliono raccontare il loro piccolo mondo indiepop come se anche noi lo vedessimo per la prima volta, e la cosa incredibile è che – pur con queste chitarre che conosciamo bene: arrivano dai Byrds, passano per i Pastels e la Sarah Records e le ritroviamo nella Bay Area dei nostri anni – ci riescono davvero! Possiamo citare i Velvet Underground o i Belle And Sebastian, ma quello che stiamo cercando di afferrare, parlando di questo disco, è solo la sua incantevole naturalezza, la maniera disinvolta e del tutto spontanea con cui schiude il proprio suono davanti a noi.
Arooj Aftab - Vulture Prince
Solo durante questo 2021 Arooj Aftab, artista pakistana di stanza a Brooklyn, si è guadagnata una menzione tra i dischi dell’estate di Obama, due nomination ai Grammy (Miglior artista emergente e Miglior performance di musica global), è presente nelle prime posizioni delle classifiche di fine anno di tutte le maggiori riviste musicali internazionali (BBC, Pitchfork, NPR e via dicendo), ha appena registrato un live per Tiny Desk, e i suoi dischi e merch sono sold out da mesi. Cos’è che ha catturato così tanto l’entusiasmo di una platea così ampia di ascoltatori? “Vulture Prince” è un lavoro che non faticherei a definire mistico, che oscilla tra jazz, minimalismo e folk pakistano, capace di far fluttuare l’ascoltatore e svuotargli completamente la testa. Melodie lontane dagli standard occidentali ma che riescono comunque ad arrivare dove devono. Un disco che nel 2021 è stato per me un’oasi di respiri, arpe, racconti misteriosi.
5
Qlowski - Quale Futuro?
La propulsione post-punk è l’anima della musica dei Qlowski, a volte più cupa e tumultuosa, a volte più ipnotica e acida. Anche quando lasciano affiorare le loro radici più jangling, i Qlowski mostrano sempre una sfumatura spigolosa, un’eco della tempesta che infuria nei loro cuori. Riconoscono i possibili limiti dell’ingenuità di questa posizione (“We write and writing is useless”) e della loro giovinezza, ma non per questo frenano il loro coraggio, perché sanno bene in quale spietato momento stanno cantando, e quindi non smettono di domandarci: “What future? What futures?”.
Erin - Luce Spenta
Chi avrebbe mai pensato che un dischetto di pop italiano così leggero e ben fatto potesse uscire da un luogo ameno e improbabile come la provincia di Empoli? Erin, parte del collettivo bnkr44, anticipa il disco corale con un esperimento solitario che per quanto mi riguarda è anche più riuscito di quello pubblicato a fine anno con la sua comitiva. Un pop post-tutto (in perfetto stile Gen Z) che flirta con arrangiamenti minimalisti ed elettronici (a tratti il paragone con i compianti Chewingum di Giovanni Imparato è inevitabile), ma che ha alla base una capacità di scrivere melodie che esce fuori forte e chiara. Gioite, è nato un nuovo talento pop in Italia!
4
Kiwi Jr - Cooler Returns
Il secondo album della band di Toronto esce per la storica label Sub Pop, prosegue lo slancio dell'esordio Football Money del 2019 e mostra una band ancora più matura e intelligente. Una raccolta di canzoni che superano i riferimenti indie rock Nineties più classici, richiamando alla mente atmosfere tra i primi Rolling Stones e Bob Dylan, e che cercano una maggiore profondità nelle storie e nel linguaggio. Lo humour continua a essere un elemento di grande rilevanza per i Kiwi Jr ma non toglie spazio anche ad altri temi, con un certo sguardo disincantato sulla malinconia, la nostalgia e in generale il tempo che ci passa addosso. Come dicono loro, un disco "very much of its time".
Alice Phoebe Lou - Glow
Che Alice Phoebe Lou fosse brava e avesse sviluppato, già da giovanissima, una sua cifra personale era già chiaro a tutti da un po’. Questo “Glow” però ribadisce il messaggio e aggiunge al tutto un immaginario preciso, videoclip bellissimi e canzoni mai così a fuoco: l’indiepop tinto di venature retrò è adesso accompagnato da arrangiamenti vagamente jazz, riflessi soul e, di base, tanta voglia di divertirsi che emerge da ogni pezzo. Sarà stato anche merito del contributo di Dave Parry dei Loving alla produzione (altra band parecchio amata da queste parti) ma “Glow” è uno di quei dischi che nel 2021 è cresciuto bene negli ascolti senza mai consumarsi, ed è arrivato a guadagnarsi una delle posizioni più alte di questa mia personalissima lista.
3
Dry Cleaning - New Long Leg
Un post-punk incalzante e spesso acido che riesce a tenere assieme slanci stridenti, alla Wire o Sonic Youth, con scene più introverse e notturne, che hanno richiamato paragoni con Electrelane e Life Without Buildings. Si può anche ballare, si può anche sfiorare il pop, e ogni momento di cupezza trova il suo riscatto e il suo opposto, a volte all’interno della stessa canzone, come per esempio nella title track. E questo suono strepitoso funziona come un perfetto piedistallo per la voce apparentemente impassibile di Florence Cleopatra Shaw e per i suoi testi traboccanti elenchi, cataloghi, liste e frammenti, che non sai mai quanto sono davvero "casuali" oppure frutto di uno humour imperscrutabile e acuto.
La Femme - Paradigmes
I La Femme sono una delle nuove band francesi ormai pienamente consacrate da pubblico e critica. Il nuovo “Paradigme” arriva a ben 5 anni dal precedente e restituisce ancora una volta quel mix pazzo di Velvet Underground, Stereototal, Beach Boys, Gainsbourg, Moroder e chissà cos’altro. Un disco in cui ogni canzone serve a fare festa, anzi un disco che è letteralmente la sonorizzazione di una festa in maschera: dai lenti cheek to cheek al momento in cui qualcuno travestito da Batman sale sul tavolo a ballare e rovescia tutte le tartine, i La Femme hanno trovato il coraggio di pubblicare 15 canzoni superficiali e senza alcuna pretesa se non quella di farci passare un’ora di cazzeggio puro. E nel 2021 non è poco.
2
Ducks Ltd. - Modern Fiction
Modern Fiction racchiude in dieci canzoni una quantità smodata di melodie a presa rapida, un’urgenza irrefrenabile fatta di ritmi trascinanti, ritornelli euforici e testi consapevolmente e ostinatamente nichilisti, rapide istantanee della contraddittoria vita sotto il capitalismo. Anche per questo, forse, il jangling-pop dei Ducks Ltd. non cede al lato più twee di questo sound, ma preferisce uno slancio più incline a un post-punk asciutto e spigoloso, quanto mai impetuoso ed efficace, confermando tutte le aspettative che potevamo avere sulla band canadese e regalandoci uno dei migliori album indiepop di quest'anno e non solo.
Joan Thiele - Atto I, II, III
D’accordo, non è un album vero e proprio perché è stato spezzettato, nel corso dell’anno, in tre Atti: “Memoria del futuro”, “Disordinato spazio” e “L’Errore”. Non potevo però lasciare che un vizio di forma escludesse queste canzoni di Joan Thiele dal podio, visto che sono tra le più belle ed emozionanti uscite quest’anno (sì, sia in Italia che nel mondo). Passata all’italiano, Thiele è riuscita a tirare fuori finalmente la sua personalità e il risultato è che la sua cifra stilistica non è mai stata così a fuoco come in questi pezzi: si muove sinuosa e femminile in canzoni che esplodono in un soul con un suono pazzesco e profondo, pieno di fiati e batterie calde che non hanno nulla da invidiare a quelle crepuscolari di Michael Kiwanuka o a quelle secche e desertiche dei Khruangbin. Bravissima Joan.
1
Chime School - Chime School
Tutto l'amore per il suono classico della Rickenbacker dichiarato in maniera perfetta. Dai Byrds agli Springfields, passando per i Razorcuts e i Primal Scream del primo periodo, queste fulminanti dieci canzoni colpiscono per immediatezza, concisione e naturalezza, riuscendo anche ricordarci nei suoi testi che l'indiepop non è soltanto semplici melodie zuccherose, rime baciate e borghesia conservatrice nascosta dietro un’estetica innocente. Non lo è stato dalle sue origini e ancora oggi il livello di consapevolezza tra moltissime band contemporanee è alto. Chitarre scintillanti, produzione impeccabile, ritornelli incandescenti e il marchio di qualità Slumberland Records: un distillato di quanto di meglio uscito dalla Bay Area (ed è davvero tanto) negli ultimi anni.
Laila Al Habash - Mystic Motel
Nella musica italiana degli ultimi 30 anni c’è sempre stata una prospettiva mancante: quella della giovane ragazza. Vuoi perché tutte le popstar sono cantanti e interpretano canzoni scritte da altri (di solito uomini), vuoi perché siamo un paese cattolico e tradizionalista dove non c’è posto per certe voci. Però l’aria sta cambiando, e “Mystic Motel” di Laila Al Habash ne è una piccola testimonianza: 12 brani che raccontano in maniera schietta e senza filtri la vita di una ventenne italiana (anzi, italo-palestinese per essere precisi) dal suo personalissimo punto di vista. Un debutto pieno di intuizioni interessanti, un talento naturale per le melodie, una personalità strabordante unita ad un bouquet di influenze che mi ha conquistato al primo ascolto (dai Baustelle a Jens Lekman, da Neffa alle TLC). E poi sì, è mia sorella, ma questo è un dettaglio. La strada davanti è lunga ma la partenza è davvero ottima: avanti tutta!
♥
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