Sto seguendo con curiosità e interesse le uscite dei Phantom Handshakes, ovvero il progetto "alla Postal Service" dell'italiana Federica Tassano e di Matt Sklar, entrambi residenti a New York. Dopo il delizioso album del 2021 No More Summer Songs (uscito in vinile per Z Tapes) e un paio di singoli digitali, arriva ora una nuova canzone The Flowery Man, che a quanto raccontano è "inspired by a New Yorker's article about an elderly lady who suddenly starts having hallucinations". In questi tre minuti di dolcissimo dream pop i confini tra sogno e verità si confondono e perdono consistenza. Alla realtà ci riporta una riga tra le note di Bandcamp, che mi sembra importante segnalare: "Proceeds from digital sales will be donated to the National Network of Abortion Funds".
Johan Angergård è un nome che si è ritagliato un posto speciale nella storia dell'indiepop: non bastasse il fatto di essere già componente di Club 8, Acid House Kings, Pallers (e di sicuro sto dimenticando almeno altrettante band), è stato anche il fondatore della Labrador Records, label per la quale nutro sempre molto affetto, nonostante da alcuni anni resti un po' fuori dal mio radar. Oltre a tutto ciò, riesce anche a portare avanti il progetto solista (ma con un cast di collaboratori parecchio variabile da un disco all'altro) dei The Legends, concedendosi di giocare con gli stili e le mode. Dal synth pop al garage rock, Angergård ha mostrato di divertirsi parecchio in moltissimi contesti differenti, mantenendo sempre molto alta la qualità della sua scrittura. Da qualche giorno, senza troppo clamore, è uscito un nuovo singolo, For Love, che potrebbe essere la canzone più classicamente Belle & Sebastian mai uscita a nome The Legends, e da queste parti potrebbe già essere una delle canzoni dell'estate.
Le radici musicali di Thierry Haliniak affondano nella scena alternativa francese degli Anni Novanta, periodo in cui ha fatto parte dei Nothing To Be Done (nome che rendeva evidente omaggio ai Pastels), band che si ispirava al suono della Creation e della Sarah Records, Nel 1998 Haliniak dà vita al suo progetto solista My Raining Stars, e con quello debutta dieci anni dopo con l'album From St Savior To Quickwell. Nel frattempo si lancia anche in nuovo side-project chiamato Meyverlin, con la collaborazione di Gilles Ramey e Philippe Lavergne (ex Freluquets), che ha debuttato sull'etichetta di Brest Too Good To Be True. Ora, a 14 anni dal suo primo disco, Haliniak torna in attività con il nome My Raining Stars e pubblica un nuovo album intitolato 89 Memories, una co-produzione tra la Shelflife (USA) e la Discos de Kirlian (Spagna). Dieci canzoni in cui la matura scrittura del musicista francese riesce a bilanciare freschi slanci indiepop, malinconie shoegaze e brezze brit-pop. Il risultato è un amabile mixtape dai molti colori, tutti molto brillanti.
Non fai in tempo a parlare di qualche "ultimo disco" di Glenn Donaldson, che nel frattempo te ne ritrovi già uno nuovo, che sia un EP, un singolo su Bandcamp oppure, come in questo caso, l'ennesimo progetto parallelo, come se non bastassero già i suoi iperattivi The Reds, Pinks & Purples. Da qualche settimana, per esempio, è uscito per la label di San Francisco Burundi Cloud Music questo meraviglioso Broken Blossom Threats, esordio a nome Helpful People, duo che vede Donaldson collaborare questa volta con Carly Putnam dei The Oilies. Cinque meravigliose tracce, in qualche modo più "nitide" rispetto alla consueta produzione TRP&P e che in alcuni casi hanno melodie scontrose e avvolte su sé stesso, che rivelano un carattere ombroso e affascinante. A me a volte ricordano certi momenti introversi dei Beat Happening, soprattutto quelli in cui a cantare era Heather Lewis.
Oggi esce, rigorosamente su cassetta per More Letters Records, il secondo album di Steven Lipsticks and His Magic Band, intitolato Pilot. Sappiamo bene che Stefano Rossetti è sempre stato innamorato del più classico indie rock e di certi suoni belli Nineties, ma questa volta sembra essersi superato, mettendo assieme undici canzoni che potrebbero essere inediti di Weezer o Get Up Kids degli anni d'oro. A quanto leggo dalla première su Rumore, il filo conduttore dell'album è il racconto "dell'innata capacità di Steven di incappare in situazioni dalle quali districarsi diventa via via più difficile", e il disco sarebbe un po' il diario di bordo di un capitano in difficoltà, da cui il "Pilot" del titolo. Sarà anche così, ma per quanto riguarda chitarra, basso e batteria mi sembra che le soluzioni trovate siano tutte molto azzeccate ed efficaci!
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