“È stato un anno notevole / È stato silenzioso e assordante / Risate e lacrime / Coraggio e paura / Ma non posso permettere / Che questa fronte corrugata / E queste malinconie di seconda mano / Continuino a cancellare il suono delicato / Di te / Quindi se tu vuoi sussurrare, giuro che io ho voglia di ascoltare”.
Questa è una strofa di I Want To Listen, canzone contenuta nel terzo album della band neozelandese The Beths, dal meraviglioso titolo Expert In A Dying Field (dovrei aggiungerlo come nuova qualifica al mio Linkedin). È una piccola strofa che parla di sentimenti in maniera semplice, ma anche con assoluta sincerità. Se fingo per un attimo che il destinatario non sia una persona amata, ma la musica (“the sound of you”), quell’ultima confessione “I want to listen” finisce per assomigliare molto a uno di quei buoni propositi da anno nuovo con cui tra poco dovremo fare i conti.
Se ripenso ai dodici mesi in musica che mi sto lasciando alle spalle, noto che qui sul blog sono diminuiti i dischi che mi hanno davvero coinvolto e mi hanno spinto a scrivere le mie solite parole ingenuamente appassionate. Sarà soltanto l’ennesimo segno di stanchezza e vecchiaia? D’altra parte, però, noto anche che è aumentata la profondità con cui certi dischi mi coinvolgono e colpiscono. Alcuni album sono diventati parte indissolubile delle stagioni in cui mi sono arrivati addosso. So bene che è uscita una quantità di musica meravigliosa quest’anno, e che abbiamo un’infinità di occasioni per scoprire e innamorarci. Quando non succede, cosa sto perdendo? Cosa ho trascurato?
Come sempre, questa piccola e obsoleta tradizione della Classifica Dei Dischi Di Fine Anno non vuole essere il registro dei giudizi assoluti sulla musica bella e musica brutta: a me serve come piccolo e parziale diario del 2022, un mini-viaggio nel tempo per recuperare una serie di istantanee. Se mi aiuta a trarre qualche conclusione, è a ricordarmi che “I want to listen” è ancora valido, come sempre, e funziona sia come dichiarazione sia, soprattutto questa volta, come augurio.
Se ripenso ai dodici mesi in musica che mi sto lasciando alle spalle, noto che qui sul blog sono diminuiti i dischi che mi hanno davvero coinvolto e mi hanno spinto a scrivere le mie solite parole ingenuamente appassionate. Sarà soltanto l’ennesimo segno di stanchezza e vecchiaia? D’altra parte, però, noto anche che è aumentata la profondità con cui certi dischi mi coinvolgono e colpiscono. Alcuni album sono diventati parte indissolubile delle stagioni in cui mi sono arrivati addosso. So bene che è uscita una quantità di musica meravigliosa quest’anno, e che abbiamo un’infinità di occasioni per scoprire e innamorarci. Quando non succede, cosa sto perdendo? Cosa ho trascurato?
Come sempre, questa piccola e obsoleta tradizione della Classifica Dei Dischi Di Fine Anno non vuole essere il registro dei giudizi assoluti sulla musica bella e musica brutta: a me serve come piccolo e parziale diario del 2022, un mini-viaggio nel tempo per recuperare una serie di istantanee. Se mi aiuta a trarre qualche conclusione, è a ricordarmi che “I want to listen” è ancora valido, come sempre, e funziona sia come dichiarazione sia, soprattutto questa volta, come augurio.
Qui sotto trovate la mia piccola classifica nero su bianco, e qui il podcast dell'ultima puntata andata in onda su NEU Radio con tutta la classifica suonata per intero tra un brindisi e l'altro!
10
Il terzo album dei Beths intende parlare di relazioni che sbiadiscono, di fantasmi d'amore e di sentimenti che girano a vuoto, ma finisce per diventare la cronaca della vita quotidiana di un presente sempre meno comprensibile. Lo fa senza abbandonare il classico guitar pop luminoso ed esuberante, marchio di fabbrica della band di Auckland, e in qualche modo diventa una bella e rara iniezione di fiducia e ottimismo in questo 2022.
9
Wet Leg - Wet Leg (Domino)
«Una raccolta di canzoni contagiose, divertenti ma non sciocche, che inseguono quasi sempre un’idea, un'immagine o una battuta, la scuotono e la agitano in maniera più o meno frenetica e dopo tre minuti passano a quella successiva con invidiabile disinvoltura. Vorrei la stessa arguzia e soprattutto vorrei la stessa capacità di affrontare ogni nuova giornata con quel passo, con quella risata in faccia tutte le volte che pensi cose tipo “I'm not sure if this is the kinda life that I saw myself living”...»
8
«House è il disco migliore che gli Shout Out Louds potessero fare in questo momento della loro carriera, ormai a vent'anni dagli inizi. Un disco in cui ritrovano alla produzione Björn Yttling di Peter Björn and John, già dietro il loro capolavoro del 2007 Our Ill Wills, e lo sfruttano per dare il giusto equilibrio al loro suono di oggi e di sempre. Un suono asciutto e sferzante, ma che non perde quell'anima profondamente malinconica anche dentro le canzoni più trascinanti...»
7
«Stumpwork si presenta come un lavoro meno ansioso e irrequieto, meno giocato sui contrasti, in cui si apprezza una volta di più il puntuale lavoro di produzione di John Parish, con un maggiore utilizzo delle tastiere, innesti di sax e piano elettrico, e ritmi più languidi. Eppure, la forza con cui i Dry Cleaning colpiscono non appare per nulla diminuita. E qui arriviamo all’altra grande qualità della band londinese: la scrittura, la pura e semplice capacità di dare luce alle parole e ai pensieri partendo da elementi disparati e imprevedibili, a volte anche comici o sentimentali...»
6
Kiwi Jr - Chopper (Sub Pop)
«Quello che mi ha affascinato sin dal primo ascolto nella canzoni della band di Toronto, e che ancora oggi mi cattura, è la maniera disinvolta e risoluta con cui riescono a farti vedere come tutto corre a precipizio, come ogni fotografia esca mossa (ma non per questo smettiamo di scattare), come non valga la pena affannarsi per fermare la grande confusione...»
«Quello che mi ha affascinato sin dal primo ascolto nella canzoni della band di Toronto, e che ancora oggi mi cattura, è la maniera disinvolta e risoluta con cui riescono a farti vedere come tutto corre a precipizio, come ogni fotografia esca mossa (ma non per questo smettiamo di scattare), come non valga la pena affannarsi per fermare la grande confusione...»
5
Ribbon Stage - Hit With The Most (K Records / Perennial Death)
«Versi veloci e brevi, a volte un paio di parole appena, una voce ostinata sotto assedio da chitarre danneggiate, tamburi primitivi che incalzano e rotolano senza sosta. Undici canzoni in meno di venti minuti e un unico motto: “desperate melody with true love's aim”. I Ribbon Stage fanno irresistibilmente bene tutto quello che occorre per tradurre in musica l’idea di urgenza nell'indiepop...»
«Versi veloci e brevi, a volte un paio di parole appena, una voce ostinata sotto assedio da chitarre danneggiate, tamburi primitivi che incalzano e rotolano senza sosta. Undici canzoni in meno di venti minuti e un unico motto: “desperate melody with true love's aim”. I Ribbon Stage fanno irresistibilmente bene tutto quello che occorre per tradurre in musica l’idea di urgenza nell'indiepop...»
4
Porridge Radio - Waterslide, Diving Board, Ladder To The Sky (Secretly Canadian)
«Il suono dei Porridge Radio continua a mescolare come sempre impeto post-punk con leggerezze indiepop e attitudine pungente indie rock, ma in questo trionfale Waterslide, Diving Board, Ladder To The Sky raggiunge una grandiosità, una crudezza e una semplice potenza che ancora non erano state conquistate dalla band di Brighton. Un ascolto straziante che potremmo definire, con una sola parola, davvero e definitivamente catartico.»
3
Yard Act - The Overload (Island Records)
It's all so pointless, sure is
And when you're gone
It makes me stronger knowing
That this will all just carry on
With someone else
Something new
It's not like there's going to be nothing, is it?
It makes me stronger knowing
That this will all just carry on
With someone else
Something new
It's not like there's going to be nothing, is it?
2
Alvvays - Blue Rev (Polyvinyl)
«Il suono di questo album aggiunge una nuova pienezza all’idea di musica degli Alvvays, una nuova grandiosità. Se restano stabili certi punti di riferimento, dai Sundays agli Smiths, dai Teenage Fanclub ai Camera Obscura, bisogna riconoscere che il dream pop della band canadese è oggi più robusto, potremmo dire meno dream e più pop, più luminescente, terso, appassionato e maturo.»
1
«Non basta giocare a ribaltare i Gang Of Four (“Sometimes I'm thinking that I lust you / But I know it's only love” – mi ha fatto ridere), prendere in prestito due coretti languidi dalle Breeders, oppure ciondolare indolenti e sarcastiche come giovani Pavement. Non basta tutto questo per conquistare già il mio personale premio di disco d'esordio più bello dell’anno, e non soltanto perché sia un bel disco, ma piuttosto perché sia bello, assurdamente e inverosimilmente bello il modo in cui è un esordio, e cattura e riassume tutto quello che un esordio deve essere, compresa la speranza che un esordio possa fermare il tempo...»
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