In fondo al nuovo album dei Dot Dash (il settimo di una lunga e prolifica carriera!) si leggono due semplici hashtag: punk e jangle. Mi sembra che rappresentino la sintesi perfetta dell’idea di musica della band di Washington: urgenza e impeto che si coniugano con melodie, armonie vocali e ritornelli a presa rapida. Questo nuovo Madman In The Rain perfeziona la formula in dodici canzoni che non conoscono momenti di sosta. Dal power-pop classico ed esuberante di Forever Far Out o di Saints/Pharaohs all’incalzante Tense & Nervous, asciutta e Mod; dall’irresistibile call & response di Airwaves, che mi ricorda i Lilys o i Tyde più scanzonati, alle atmosfere quasi Kinks di Trip Over Clouds, questo disco mostra, una volta di più, quanta classe ed esperienza i Dot Dash sappiano stipare nelle loro chitarre. Non per niente la serie di band da cui provengono i componenti dei Dot Dash è notevolissima: St. Christopher, Saturday People, Youth Brigade e soprattutto gli adorabili Julie Ocean, dalla carriera per me troppo breve.
Forse questo Madman In The Rain mi piace molto anche perché, in mezzo a tutta questa elettricità e a tutto questo entusiasmo, insinua nelle canzoni un tema in qualche modo sinistro o oscuro, già a partire dalla figura misteriosa raccontata nella title track, e per continuare con i frequenti riferimenti a qualcosa che sta finendo o si è perduto, a una nuova solitudine. Un particolare talento dei Dot Dash, però, è quello di riuscire a presentare questi elementi con una disarmante leggerezza e un disilluso ma sereno distacco: “Dead and gone, you know life won’t last long / I’ve heard it’s the way of the world” osserva con una certa perentorietà la canzone che chiude il disco, nonostante sia una di quelle più trascinanti in scaletta. Senza dubbio quei versi hanno ragione, ma se nel frattempo possiamo goderci questi suoni, bisogna riconoscere che non tutto è andato così male.
Forse questo Madman In The Rain mi piace molto anche perché, in mezzo a tutta questa elettricità e a tutto questo entusiasmo, insinua nelle canzoni un tema in qualche modo sinistro o oscuro, già a partire dalla figura misteriosa raccontata nella title track, e per continuare con i frequenti riferimenti a qualcosa che sta finendo o si è perduto, a una nuova solitudine. Un particolare talento dei Dot Dash, però, è quello di riuscire a presentare questi elementi con una disarmante leggerezza e un disilluso ma sereno distacco: “Dead and gone, you know life won’t last long / I’ve heard it’s the way of the world” osserva con una certa perentorietà la canzone che chiude il disco, nonostante sia una di quelle più trascinanti in scaletta. Senza dubbio quei versi hanno ragione, ma se nel frattempo possiamo goderci questi suoni, bisogna riconoscere che non tutto è andato così male.
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