"Tutti noi amiamo le canzoni pop più sincere: immagino che siamo arrivati a quel punto delle nostre vite in cui abbiamo bisogno di essere più autentici e spontanei". I componenti dei The Umbrellas non sono ragazzini e non sono all’esordio: eppure, in qualche modo, con il loro secondo album sembrano avere trovato la chiave per una nuova freschezza e un entusiasmo che scaturiscono proprio dalla maggiore padronanza e consapevolezza del loro brillante sound.
Il secondo lavoro della band di San Francisco si intitola Fairweather Friend (uscito oggi per Slumberland Records e Tough Love) e mette in mostra una sorprendente e meravigliosa gamma di modulazioni dell’idea di indiepop. Basta prendere la traccia d’apertura, Three Cheers: da un lato, abbiamo Matt Ferrera nella sua migliore interpretazione dell’eleganza Orange Juice mescolata a una certa sfrontatezza Pastels; dall’altro, Morgan Stanley a fargli da contrappunto con stelle filanti Heavenly e corretti luccicanti e sorridenti. Del resto, ogni volta che in questo disco le due voci si incrociano e uniscono le forze succede qualcosa di bellissimo, come questi tre minuti che ti prendono per mano e ti portano a spasso lungo tutta la mappa di questa musica. L’incedere trionfale della successiva Goodbye, un inno straripante di tutto il possibile senso liberazione che si impossessa di te alla fine di una storia sbagliata, rincara la dose con una melodia che si ferma e riparte e si fa sempre più squillante. A completare il micidiale terzetto di apertura, arriva la furibonda Toe The Line, vero punk per quelli che amano considerare punk i Wedding Present più ruvidi e arruffati.
Ma Fairweather Friend racchiude una ricchezza di scrittura davvero incantevole: il power pop dell’amara Gone, l’indiepop Camera Obscura di When You Find Out, oppure l’irruenza decisamente All Girl Summer Fun Band di Games. E poi, quasi in fondo alla tracklist, trova posto anche un piccolo gioiello di malinconia come Blue, che posso quasi immaginare cantato da certi Lucksmiths al crepuscolo, con tanto di immancabili notazioni metereologiche.
Menzione speciale per Echoes, che compensa l’amarezza per il tempo che sprechiamo e che ci consuma (“Once was lost is now forgotten / Like it never was at all / Watch your dreams become an echo down the hall”) con una dolcezza riflessiva e suoni scintillanti in continuo crescendo, e anche per la trascinante PM, la canzone che chiude l’album, anche questa curiosamente dedicata allo spietato scorrere del tempo (“With each passing day / How often do you change? / Was it all in vain?”) e alla solitudine che infine ci accoglie, una conclusione in grande stile. Semplicemente, indiepop at its best.
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