La prima cosa che mi viene sempre in mente, parlando di Waving Blue, è che io e te ci incontriamo da anni in giro per concerti, festival e locali, e non avevo mai saputo che tu suonassi! Ho dovuto “scoprirti” per caso da un podcast di Seattle… Quindi ti chiedo se questa “strategia” di non pubblicizzare troppo il progetto, di non sentire il bisogno di una label, di non inseguire disperatamente i social come oggi sembra obbligatorio fare, anche nelle scene più piccole, è una decisione consapevole, forse un tuo modo di salvaguardare la salute mentale, o magari è anche una presa di posizione artistica.
In realtà penso che dipenda dalla mia estrema insicurezza e non è certamente una scelta anticonformista! Hai presente quando provi quel senso di inadeguatezza costante in ogni situazione? Come se quello che fai non fosse mai abbastanza, mai all'altezza delle aspettative o di quello che raggiungono gli altri? Ecco, questo è come mi sento praticamente da sempre, non solo in ambito musicale (il nome che ho scelto, Waving Blue, potrebbe essere qualcosa del tipo "sventolare la bandiera della tristezza", non so se mi spiego). Quindi essenzialmente ho sempre registrato e scritto perché mi piace suonare e mi fa stare bene, ma non pensavo che qualcuno potesse essere interessato ad ascoltare le mie canzoni. Alla fine, invece, c'è anche qualche pazzo che i dischi li ha pure comprati, per ora solo in formato digitale; di fisico potrebbe esserci una maglietta che vorrei stampare e regalare agli amici. Mi sono anche arrivati messaggi di stima, specialmente da fuori dall’Italia, come ad esempio UK, USA, Germania e pure Filippine!
Mi racconti un po’ la tua “carriera musicale”? Perché so (in realtà l’ho letto su Discogs) che Waving Blue non è la tua prima band, e ora sono curioso. Cosa facevi prima e come è nata la decisione di lanciare un progetto solista?
La mia prima esperienza musicale è stata assieme a David Liso (attualmente titolare del progetto Dynamo Stairs, un vero talento ed ex dj radiofonico in New Mexico nei primi 90 ) che mi era stato presentato da amici comuni. La band si chiamava Mesmerise (un omaggio ai Chapterhouse
), anche se in realtà non suonavamo affatto shoegaze. Avevamo pubblicato un EP che era stato recensito anche in riviste specializzate come Blow Up e Rumore (avevano citato REM, Replacements e Frank & Walters, per farti capire le coordinate). Il gruppo durò pochi anni perché Davide, dopo aver vissuto negli USA e a Londra, se ne ripartì per la Svizzera per motivi di lavoro, e lui era l'anima della band e il principale autore. Giolo (Giovanni Riceci, drums), Guido Campolucci (bass) e io decidemmo di finirla lì. È stato breve ma ci siamo divertiti un sacco. Facemmo un unico concerto, a un evento musicale della mia città, Fano, chiamato Fanote. Era un evento estivo locale con tanti gruppi diversi, e le immancabili cover band di Vasco Rossi, Ligabue, ecc. Noi suonammo verso la fine, davanti a un pubblico composto perlopiù da ragazzini che passavano di lì per caso e da famiglie con bimbi piccoli. Inutile dire che la performance fu disastrosa: niente soundcheck perché ci eravamo attardati troppo nel bar a bere, suonammo completamente scordati e a volumi folli. Svuotammo la platea in pochi minuti. Fu bellissimo!
), anche se in realtà non suonavamo affatto shoegaze. Avevamo pubblicato un EP che era stato recensito anche in riviste specializzate come Blow Up e Rumore (avevano citato REM, Replacements e Frank & Walters, per farti capire le coordinate). Il gruppo durò pochi anni perché Davide, dopo aver vissuto negli USA e a Londra, se ne ripartì per la Svizzera per motivi di lavoro, e lui era l'anima della band e il principale autore. Giolo (Giovanni Riceci, drums), Guido Campolucci (bass) e io decidemmo di finirla lì. È stato breve ma ci siamo divertiti un sacco. Facemmo un unico concerto, a un evento musicale della mia città, Fano, chiamato Fanote. Era un evento estivo locale con tanti gruppi diversi, e le immancabili cover band di Vasco Rossi, Ligabue, ecc. Noi suonammo verso la fine, davanti a un pubblico composto perlopiù da ragazzini che passavano di lì per caso e da famiglie con bimbi piccoli. Inutile dire che la performance fu disastrosa: niente soundcheck perché ci eravamo attardati troppo nel bar a bere, suonammo completamente scordati e a volumi folli. Svuotammo la platea in pochi minuti. Fu bellissimo!
Dopo la fine della band decisi che per me suonare era troppo importante e iniziai a farlo a casa con i pochi mezzi disponibili. Da allora non ha mai smesso, mi fa stare bene, è la mia terapia quotidiana!
Sul tuo Bandcamp c’è una tag “shoegaze-indiepop-dream-pop” scritta così, tutta attaccata: spesso a chi suona i generi e le etichette stanno stretti o danno fastidio, tu hai voluto scavalcare il problema abbracciando tutto? O magari è anche un po’ una provocazione nei confronti di chi finisce per essere troppo purista nella propria nicchia?
Lo shoegaze è indubbiamente il mio genere preferito, ma mi piacciono parecchie cose diverse e cerco di mettere anche queste nella mia musica. Prendi, per esempio, un pezzo come Cold Mornings: è assolutamente una canzone post rock ed è molto distante invece da un pezzo come The Strength, il pezzo che chiude il disco, che invece parte con un giro acustico, tipo Coldplay! Ebbene, sono due canzoni molto distanti tra loro anche se sono nello stesso disco. Il fatto è che suono quello che mi piace, senza cercare una coerenza stilistica a tutti i costi. L'impronta di fondo rimane comunque shoegaze - dreampop.
Veniamo al nuovo album So Cold: la malinconia è un colore quasi sempre presente nel genere shoegaze, ma in queste tue nuove canzoni mi sembra che sia bilanciata da una buona dose di energia, una luce più nitida rispetto ad altre composizioni passate; penso alla title track, a Next To Me o a Reflecting Shades, giusto per fare qualche esempio. Qual è l’idea che ha unito questa nuova raccolta? C’è un filo conduttore, magari anche nella ricerca dei suoni e nella scrittura, oltre che nelle storie dentro i testi?
Sì, ci sono pezzi leggermente più carichi e solari rispetto al solito. Anche se poi questo è solo a livello musicale, in quanto i testi parlano sempre di problemi quotidiani: dolori, frustrazioni, senso di smarrimento e inadeguatezza. Questi sono di solito i fili conduttori delle cose che scrivo. Non sono proprio canzoni che ti caricano o che inseriresti in una playlist di spotify per fare fitness!
La canzone che apre il disco parla della forza che occorre per continuare a fare le cose che ci fanno sentire vivi, nonostante tutto, ed è un bellissimo omaggio a un comune amico che se ne è andato troppo presto. Consideri la musica un’ancora di salvezza nella tua vita?
Assolutamente si. La musica mi ha salvato, mi sta salvando e lo farà anche in futuro. Andrea Guagneli rimane un punto fermo per tutti noi. La sua devozione alla musica era totale, il suo entusiasmo contagioso e la sua passione strabordante. Come faceva lui, penso e respiro musica tutto il santo giorno. Nell'ultimo disco c'è anche una canzone che parla proprio di questo, Only a Small Part of my Head: mi sento come se utilizzassi solo una piccola parte della mia testa, quella che mi serve per poter portare avanti le attività normali per vivere in mezzo agli altri, tipo cucinare o guidare! Tutto il resto è dedicato alla musica.
Fino a qualche anno fa uscivano tantissimi articoli sulla “scena di Pesaro” e quella prolifica stagione creativa; poi l’attenzione, come spesso succede, è scemata e si è spostata altrove: dal tuo punto di vista, oggi sulla tua Riviera Adriatica esiste ancora una comunità musicale, fatta di band, musicisti, locali e luoghi di ritrovo, che produce cose interessanti?
Certo è stato un periodo d'oro per Pesaro qualche anno fa. Vedi i successi importanti per Be Forest, Brothers In Law e Soviet Soviet (che continuano a riempire locali anche grossi all'estero) ma ricordo anche gli Altro, i Camillas, i Damien, i Container 47, ecc. Forse oggi è più difficile trovare molti nomi nuovi che possano far parte di una nuova scena comune, ma c'è sempre un sottobosco fertile di gente che si sbatte e fa cose interessanti (il Circolo Mengaroni in primis ). Sono sicuro che presto Pesaro (e anche Fano!) porterà altri artisti alla ribalta. La magia della provincia non svanisce mai.
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