Nascosti nelle note delle canzoni cerchiamo il nostro rifugio. Non c’è tempo, non c’è inganno, tutto sparisce quando ritrovi la musica. Tra jangling guitars e voci che svaniscono e ti scendono nel petto, là ci perdiamo, là ci incontriamo. “Hide in a song”, canta Kelley Stoltz tra mille echi nel suo nuovo album intitolato La Fleur, e cattura un sentimento che in qualche modo conosco bene anche io.
Quella del musicista americano non è una posa ingenua o inconsapevole: La Fleur è il suo diciottesimo album, e si può dire che Stoltz abbia attraversato da protagonista la scena indie rock dell’ultimo quarto di secolo, collaborando con nomi del calibro di Echo & the Bunnymen, Robyn Hitchcock, Rodriguez, The Fresh & Onlys e Sonny and the Sunsets. Nella sua discografia ci sono pubblicazioni per label come Sub Pop, Third Man e Castle Face. Ora questo nuovo disco esce per Dandy Boy Records negli Stati Uniti e Agitated Records per UK ed Europa. Contiene 12 canzoni in cui Stoltz suona quasi tutti gli strumenti, dimostrando ancora una volta - se ce ne fosse bisogno - la sua incredibile versatilità. Unica eccezione, un paio di apparizioni del “pop guru Jason Falkner”, già componente dei Jellyfish e chitarrista per Beck e gli AIR.
La musica di Kelley Stoltz mostra, come sempre, classici accenti psichedelici e Sixties, per esempio in Make Believer o Swtich On Switch Off, ma altrove emergono anche toni David Bowie e notturni, davvero misteriosi e seducenti, come in Losing My Wild e Victorian Box. La parte che preferisco di questo album, però, è quella in cui Kelley Stoltz sembra raggiungere con una eleganza quanto mai naturale una scrittura luminosa e senza tempo, per esempio, in About Time o Butterflies. Un capitolo a parte è la divertentissima Reni’s Car, apparentemente ispirata a una storia vera, in cui Kelley Stoltz si trova a guidare per Manchester nell’auto del celebre batterista degli Stone Roses: due minuti che condensano tutta la poesia jangle-pop della sua nuova casa, San Francisco, con l’aggiunta di uno dei memorabili ritornelli indiepop dell’anno.
È vero, ci nascondiamo ancora nelle canzoni, ma ci piace anche tornare in superficie portando con noi piccoli tesori come questo album.
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