Wish I could go back and hug you

Baseball Gregg - Briefs (La Barberia Records, 2024)

“Una semplice melodia, il verso di una poesia, l'umido delle lacrime nei miei occhi: com'è strano sentirsi vivi”: è una strofa che passa verso la metà di Briefs, il nuovo album dei Baseball Gregg, e mi lascia proprio così, nello stesso identico stato. Gli accordi di una chitarra acustica procedono adagio, come tentando di mettere un piede davanti all’altro, un poco alla volta, c’è un’eco sospesa e poi la melodia del ritornello sfocia in quella di un violino, che nel suo crescendo sale e sale ancora, fino ad abbracciare tutto lo stupore, tutta la nuda, manifesta e totale meraviglia del trovarsi qui e ora, piantati in mezzo a questo colossale schifo disperato, mutilati eppure capaci di sopravvivere, di trovare ancora qualche pezzo dentro di noi da offrire senza vergogna, una parte che il mondo non divorerà.
Lo sguardo dei Baseball Gregg non è mai stato banale o superficiale, ma in Briefs sembra avere raggiunto una chiarezza e una coerenza di livello ancora superiore. Forse, in parte, i ragazzi sentivano la sfida di essere arrivati al decimo compleanno della band, e di questo, infatti, parla il comunicato che presenta l’album. Ma, allo stesso tempo, sembra che la loro sensibilità sia oggi ancora più acuta: tra le note di queste canzoni avvertiamo il racconto frugale di un profondo dolore, di rimpianti, rabbia e lotte. I Baseball Gregg, però, sono capaci di rendere ogni immagine lieve, di spiegarci cose importanti senza dare troppa importanza ai proclami. Quello che conta è quello che mostrano, come se stessero dicendo che tutto è così imperfetto da finire per essere anche consolante. Quel ricordo appuntito che non ci abbandonerà mai più, come una ostinata melodia pentatonica, non ci toglierà anche i piaceri di un pomeriggio d’estate, di un'amicizia che continuiamo a costruire, dell’accettare i desideri del nostro corpo, di un viaggio lontano che ci fa sentire piccoli di fronte alla Natura, o di un amore fugace che sappiamo già destinato a finire. 
Un riflesso di questa leggerezza, di questa capacità di rendere trasparente la tristezza e la bruttezza, forse la possiamo trovare anche nella maniera in cui spesso i Baseball Gregg asciugano o dissolvono le parti ritmiche di questo disco, facendo galleggiare le armonie in una luce più alta. Una conseguenza è che, a tratti, Briefs non sembra composto da dieci canzoni distinte ma, complice anche la loro brevità, sembra portare avanti un unico discorso, ritmato soltanto da differenti momenti nel tempo. Anche il modo in cui puoi ascoltare l’album in loop, tra la chiusura dell’ultima nota che resta a fluttuare a mezz’aria e l’attacco malinconico della voce della prima canzone: funziona benissimo così. 
E in mezzo alle consuete influenze Beach Boys e Beatles (o Harry Nilsson e Supertramp, o Yo La Tengo e Girls, non importa: stiamo solo dipingendo un paesaggio), trova posto anche il primo esperimento di cantato in italiano dei Baseball Gregg, Nocturne, con calde atmosfere quasi Colombre, magnifica istantanea di un sogno a occhi aperti, infinita indolenza estiva tra Colle Ameno e il resto della galassia che si spalanca sopra di noi, brevi e arresi, ma ancora capaci di meravigliarci e di sentirci, nonostante tutto, vivi. 



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