You said you’ve never met someone you hate like me

THE TUBS - Cotton Crown

«Al funerale qualcuno mi ha toccato il braccio / Mi ha detto “dovresti scrivere una canzone / Per onorare tua madre”... Beh, chiunque diavolo tu sia / Mi dispiace / Immagino che quella canzone sia questa». 
Recita così l’ultima strofa dell’ultima canzone di Cotton Crown, il nuovo album dei The Tubs, e direi che mette bene in chiaro che cosa raccontano queste canzoni: il tema della perdita e della morte, il bisogno di confessarsi senza barriere, il fare i conti con la propria vita adulta, nonostante tutto, e in qualche modo anche con l’arte. 
Come il cantante Owen Williams ha spiegato in maniera quasi troppo dettagliata, la scrittura di questo album è stata fortemente influenzata dal suicidio della madre, madre che era, a sua volta una cantante (oltre che scrittrice e giornalista musicale), Charlotte Greig. E a rincarare la dose, una fotografia di Charlotte Greig compare anche sulla copertina del disco: nella foto sta allattando il neonato Owen seduta tra le lapidi di un cimitero. Quella immagine era stata utilizzata come foto promozionale all’epoca del suo album di debutto, Night Visiting Songs, una raccolta di ballate folk gotiche, ispirate tanto alla tradizione quanto alle atmosfere di Nico.
Tutto questo doloroso groviglio di emozioni e riflessioni, questo indagare come quel vuoto si riflette nei rapporti con gli altri, i Tubs, però, lo mescolano a un suono travolgente, che riesce a tenere assieme le chitarre aggressive degli Hüsker Dü, le melodie suadenti e avvolgenti degli Smiths e il jangle pop più scintillante di Felt e Field Mice. In una bella e schietta playlist curata per Brooklyn Vegan citano, tra gli altri, anche Housemartins e Style Council, oltre che i contemporanei australiani Antenna, il nuovo progetto dell'inarrestabile Shogun dei Royal Headache.
Forse i Tubs non suonano più (o, quanto meno, non sempre) così irruenti e punk come nell’esordio Dead Meat, ma con Cotton Crown mostrano di aver saputo perfezionare ulteriormente la loro scrittura, trasmettendo tutta l’urgenza delle loro canzoni, quel loro scavare feroce nelle pieghe cupe delle relazioni personali e delle nevrosi post-moderne, con una tavolozza sonora ancora più ampia, sofisticata e ricca. 
Ascolto dopo ascolto, mi sembra che si possa affermare in tutta sicurezza che Cotton Crown è già tra i dischi indie rock migliori di questa stagione.


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