
Conosciamo i Barbados da tanto di quel tempo (è appena passato il decimo anniversario di Runaway Stories) che sorprende un po’ trovarsi a scrivere “We Still Care è l’esordio sulla lunga distanza di uno dei tesori meglio custoditi della musica indipendente pugliese, e non solo”. Eppure, eccoci qui, insieme a queste nuove canzoni, a emozionarci come fosse il primo giorno, con questo indie rock caldo e schietto, colorato di folk senza tempo e di arrangiamenti che sembra ti vogliano abbracciare.
Come un’amicizia che si distilla lentamente, cova per anni, riprende i pensieri, mette a fuoco il senso del tempo passato assieme, così questo disco ha preso forma senza fretta, come risultato di una fratellanza sempre più stretta. Le parole che i Barbados scelgono per presentare We Still Care parlano proprio di questo, più che di semplice musica, e sembrano una poesia:
Come un’amicizia che si distilla lentamente, cova per anni, riprende i pensieri, mette a fuoco il senso del tempo passato assieme, così questo disco ha preso forma senza fretta, come risultato di una fratellanza sempre più stretta. Le parole che i Barbados scelgono per presentare We Still Care parlano proprio di questo, più che di semplice musica, e sembrano una poesia:
«La grana del tempo che passa. Resistere e perseguire. Trovare il feeling. Rilavorare costantemente tutto, arrangiare arrangiare arrangiare. Mangiare insieme. Sognare e rimanere coi piedi per terra. Sbagliare. Mettersi d'accordo. La vita, il lavoro, le scelte, le persone, i soldi, gli imprevisti, gli anni che passano. La provincia. Gli amici. La band. Fare le cose bene, mettere un punto, non riuscirci. Cambiare le parti. Saltare gli appuntamenti. Andare a mangiare. Il mondo, la pandemia, le guerre, i costi che salgono, le ore che non bastano più. Significati che cambiano. Dove suoniamo? Ha sbagliato tonalità, cambia il capotasto».
We Still Care è un’opera matura, stratificata e sincera. Nove canzoni che inseguono la perfezione tanto quanto l’onestà emotiva, l’atmosfera giusta, la sfumatura capace di farti commuovere. “Una sorta di ponte musicale immaginario tra le atmosfere sognanti di Timber Timbre e la grande lezione folk di Bob Dylan” dicono i Barbados nella presentazione del disco (pubblicato da More Letters Records), e davvero riescono a evocare malinconie cinematografiche, la tenerezza di un gesto semplice, serate in compagnia, sguardi che si parlano a lume di candela. Non mancano, d'altra parte, i momenti di disincanto e di amarezza per le occasioni che non abbiamo saputo cogliere, per il tempo che se ne è andato, per “All the things we used to say / When we were younger”, come recita la traccia d’apertura Morning Glare.
Tra i momenti più alti del disco, spiccano la collaborazione con Makai nella sesta traccia, Keep and Run, che aggiunge il proprio tocco senza snaturare il mood generale, e l’epilogo struggente della title track, vero e proprio manifesto affettivo del lavoro, arricchito dal sassofono di Laura Agnusdei e dal pianoforte di Danilo De Candia. Ma la mia canzone preferita resta Ordinary Youth, che racconta con accuratezza, ma anche con un tono pieno di speranza e fiducia, la vita di chi è cresciuto in provincia. Se da un lato ci domandiamo sempre “Waiting here forever / Is it the curse that we've got?”, dall’altro prende corpo la certezza che “We'll come down the streets / We're gonna dance, we're gonna break / All the lies about us”.
Proprio come questo disco, un piccolo grande diario in musica di chi ha scelto di rimanere e di resistere, di suonare ancora insieme, nonostante tutto.
Tra i momenti più alti del disco, spiccano la collaborazione con Makai nella sesta traccia, Keep and Run, che aggiunge il proprio tocco senza snaturare il mood generale, e l’epilogo struggente della title track, vero e proprio manifesto affettivo del lavoro, arricchito dal sassofono di Laura Agnusdei e dal pianoforte di Danilo De Candia. Ma la mia canzone preferita resta Ordinary Youth, che racconta con accuratezza, ma anche con un tono pieno di speranza e fiducia, la vita di chi è cresciuto in provincia. Se da un lato ci domandiamo sempre “Waiting here forever / Is it the curse that we've got?”, dall’altro prende corpo la certezza che “We'll come down the streets / We're gonna dance, we're gonna break / All the lies about us”.
Proprio come questo disco, un piccolo grande diario in musica di chi ha scelto di rimanere e di resistere, di suonare ancora insieme, nonostante tutto.
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