Certi dischi, semplicemente, esplodono. E i Lifeguard, per quanto giovani, hanno messo bene in chiaro sin dagli esordi che a loro interessa proprio quel tipo di dischi. Con il loro nuovo album Ripped and Torn, il primo pubblicato dalla prestigiosa Matador (dopo la ristampa dei già promettenti EP Crowd Can Talk / Dressed In Trenches), confermano di essere capaci di architettare e allestire esplosioni a dir poco sbalorditive.
Ogni cosa dentro Ripped and Torn si incendia e deflagra, il suono si fa spesso e prorompe in direzioni diverse contemporaneamente: verso dissonanze no wave, brutalità punk, echi dub, un indie rock lacerato e a brandelli. Le chitarre stridono, il fragore della batteria si carica di echi, in un ribollire di percussioni in tumulto, cavernose, metalliche e minacciose.
Eppure, si tratta di un’esplosione controllata e metodica: lungo queste dodici tracce (inclusi gli intermezzi strumentali, più selvaggi e sperimentali) i Lifeguard non perdono mai il controllo della furia degli elementi, e tra schegge che volano e detriti che precipitano, quelle che i Lifeguard ci consegnano sono canzoni: feroci e febbrili, tempestose e a volte inquietanti, ma sempre implacabili, intense e a fuoco (è il caso di dirlo).
Se i punti di riferimento sonori espliciti dei Lifeguard restano Wire (A Tightwire), Swell Maps (la title track – che rimanda alla storica fanzine inglese) e This Heat (Under Your Reach), a volte emergono anche lampi di post-punk quasi ballabile alla Gang Of Four (o, se preferite nomi più vicini, si potrebbero suggerire Rapture o Q And Not U), come in How To Say Deisar o It Will Get Worse. Certo, parte del merito va senza dubbio riconosciuta a Randy Randall (No Age) che ha prodotto l’album. Ma quello che ormai è abbastanza certo, dopo questa ennesima prova, è che Kai Slater, Asher Case e Isaac Lowenstein continuano a mostrare una consapevolezza della grammatica del loro suono, una capacità di governare e dare forma al caos, e una determinazione nella costruzione della loro ambiziosa musica davvero fuori del comune. Ripped and Torn è un disco sfrenato, ardente e coraggioso, pervaso da una sfacciata elettricità che rincuora ritrovare in tre musicisti così giovani, e che dovrebbe diventare un manifesto per l’indie rock dell’anno 2025.
Se i punti di riferimento sonori espliciti dei Lifeguard restano Wire (A Tightwire), Swell Maps (la title track – che rimanda alla storica fanzine inglese) e This Heat (Under Your Reach), a volte emergono anche lampi di post-punk quasi ballabile alla Gang Of Four (o, se preferite nomi più vicini, si potrebbero suggerire Rapture o Q And Not U), come in How To Say Deisar o It Will Get Worse. Certo, parte del merito va senza dubbio riconosciuta a Randy Randall (No Age) che ha prodotto l’album. Ma quello che ormai è abbastanza certo, dopo questa ennesima prova, è che Kai Slater, Asher Case e Isaac Lowenstein continuano a mostrare una consapevolezza della grammatica del loro suono, una capacità di governare e dare forma al caos, e una determinazione nella costruzione della loro ambiziosa musica davvero fuori del comune. Ripped and Torn è un disco sfrenato, ardente e coraggioso, pervaso da una sfacciata elettricità che rincuora ritrovare in tre musicisti così giovani, e che dovrebbe diventare un manifesto per l’indie rock dell’anno 2025.
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