I don’t know how to surrender

 
The Cindys - "The Cindys" (Breakfast Records / Ruination Record Co., 2025)

Quest’anno ho mancato praticamente tutti i concerti che avevo in agenda, ma uno di quelli che più mi è dispiaciuto perdere è stato quello dei The Cindys a Milano, lo scorso 3 novembre (curiosamente erano in tour in Europa assieme agli Shame). I Cindys sono la nuova band fondata da Jack Ogborne, in precedenza attivo con i Bingo Fury, formazione votata a un suono sperimentale e notturno, che mescolava jazz e no-wave. L’unico tratto in comune con il nuovo progetto dei Cindys è la voce profonda e baritonale del musicista di Bristol, capace di offrire un’asciutta profondità con un tono distaccato, a volte quasi ironico anche nei momenti più romantici. Come si può capire dall’album di esordio appena uscito su Breakfast Records (e Ruination Record in USA), i riferimenti musicali della scrittura di Ogborne per i Cindys, invece, sono decisamente diversi: qui ci sono chitarre che ricordano i Clean e certi scarti di lato alla Yo La Tengo (o magari Lewsberg, per citare un nome più vicino nel tempo), soprattutto nelle ballate più pensierose. Nella meravigliosa Eternal Pharmacy, in apertura, sembra di ritrovare quel passo pacato, ma inquieto e pungente al tempo stesso, dei migliori Silver Jews. E del resto, anche la successiva Dry Tv, nonostante l’incedere svelto, racchiude una certa schiva malinconia alla Malkmus, mentre in Liquid Stitch si aggiunge una impazienza elettrica molto Guided By Voices. Isaac's Body parte piano, come se non trovasse la propria strada, ma poi si accende, raccogliendo a poco a poco tutta la band, fino ad esplodere. Alla voce di Ogborne ogni tanto si affianca quella di Naima Bock, cantante e chitarrista folk ex Goat Girl, che ha pubblicato due ottimi album per Sub Pop. Questo gioco dei contrasti aggiunge un tocco di leggerezza dove i colori dei Cindys si fanno più cupi, e rappresenta sicuramente una delle qualità migliori di queste canzoni. Soltanto sette, per ora, ma già un esordio, per così dire, carico di indie rock molto interessante. Da segnalare, infine, che all’album hanno collaborato anche Joe Jones (già al lavoro con Aldous Harding, The Cure e Teenage Fanclub) e Sam Stackpool degli Holiday Ghosts.


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