È incredibile quanto ancora oggi la Slumberland Records, uscita dopo uscita, riesca a migliorare il sound indiepop contemporaneo. Ogni nuova pubblicazione dell’etichetta di Mike Schulman riesce a bilanciare rinnovamento e nostalgia, omaggio alle origini e sguardo in avanti.
Questa visione moderna dell’indiepop si può condensare in una parola: autenticità (vedi anche l'intervista del mese scorso su Rumore). Ed è questo che rende la Slumberland un punto di riferimento, cosa non da poco, soprattutto oggi, in una scena musicale piccola e di nicchia, e che ha sempre più bisogno di ritrovare il proprio senso di comunità.
Questo stesso equilibrio tra retromania e freschezza lo ritrovo in Every Heaven, esordio sulla lunga distanza di Humdrum, il progetto che Loren Vanderbilt aveva messo in piedi dopo la fine della sua precedente band, gli Star Tropics.
Influenze dichiarate del musicista di Chicago: R.E.M. epoca IRS, Felt, Ride, Pale Saints ma soprattutto io direi i New Order, fortissimamente i New Order. Eppure, Every Heaven è uno di quegli album che, pur sembrando arrivare da un altro tempo e un altro spazio, trova perfettamente il suo posto nello scenario indiepop attuale. Le recensioni lo descrivono come un brillante lavoro di rara raffinatezza melodica e consapevolezza, che riesce a rielaborare influenze dream pop e shoegaze senza mai sembrare un semplice revival. E questo nonostante la seconda traccia in scaletta si intitoli letteralmente There and Back Again (ovviamente, da qui). Ma tra i languidi riverberi e le chitarre scintillanti, quello che colpisce è quanto ogni canzone riesca ad arrivare diretta e carica di energia, come qualcosa che conosci da sempre e ti appare all’improvviso nuova, come un ricordo dimenticato a metà che torna di colpo presente. I testi di Every Heaven a volte sembrano enigmatici e astratti di proposito, lasciando scivolare ogni traccia in quella successiva, facendo crescere la sensazione di attraversare un sogno (e infatti il disco sembra volare via in un soffio). A quanto dichiara Vanderbilt, le melodie spensierate servono solo a fare da contrappunto alle sue riflessioni un po’ amare intorno alla vita, allo sconforto e alla speranza di un rinnovamento, con tutte le tipiche domande che si pone un artista queer trentenne oggi.
Influenze dichiarate del musicista di Chicago: R.E.M. epoca IRS, Felt, Ride, Pale Saints ma soprattutto io direi i New Order, fortissimamente i New Order. Eppure, Every Heaven è uno di quegli album che, pur sembrando arrivare da un altro tempo e un altro spazio, trova perfettamente il suo posto nello scenario indiepop attuale. Le recensioni lo descrivono come un brillante lavoro di rara raffinatezza melodica e consapevolezza, che riesce a rielaborare influenze dream pop e shoegaze senza mai sembrare un semplice revival. E questo nonostante la seconda traccia in scaletta si intitoli letteralmente There and Back Again (ovviamente, da qui). Ma tra i languidi riverberi e le chitarre scintillanti, quello che colpisce è quanto ogni canzone riesca ad arrivare diretta e carica di energia, come qualcosa che conosci da sempre e ti appare all’improvviso nuova, come un ricordo dimenticato a metà che torna di colpo presente. I testi di Every Heaven a volte sembrano enigmatici e astratti di proposito, lasciando scivolare ogni traccia in quella successiva, facendo crescere la sensazione di attraversare un sogno (e infatti il disco sembra volare via in un soffio). A quanto dichiara Vanderbilt, le melodie spensierate servono solo a fare da contrappunto alle sue riflessioni un po’ amare intorno alla vita, allo sconforto e alla speranza di un rinnovamento, con tutte le tipiche domande che si pone un artista queer trentenne oggi.
Insomma, casomai ci fosse stato bisogno di un'ulteriore conferma, con Every Heaven il canone Slumberland si rinnova e si rinforza con un nuovo, meraviglioso album
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