Feeble heart string, plucked and beaten, unraveling on me

Good Flying Birds – Talulah's Tape (Carpark Records, 2025)


I never wanted to be important to you
I wanted to be much, much, much, much more

Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho visto apparire il nome dei Good Flyng Birds tra le recensioni di Pitchfork. È sempre bello quando il pop strano, fatto con le chitarre svelte e quell’attitudine sregolata che piace a me, si affaccia a un pubblico più ampio. Poi qualcuno raccoglierà quel che può e vuole, ma intanto si semina il dubbio. 
Per ora, si può decisamente affermare che Talulah’s Tape di dubbi ne semini parecchi. È indiepop? È lo-fi? Magari si tratta di egg punk? Sia come sia, i Good Flying Birds, piombati dal cielo sopra Indianapolis con la grazia sconsiderata dei migliori eroi DIY, hanno confezionato un album di debutto per Carpark Records (riedizione di una cassetta uscita a inizio anno su Rotten Apple) così irresistibile che sembra fatto apposta per spiazzare e disorientare traccia dopo traccia. Quaranta minuti di pura gioia sonora, per un centrifugato assurdo di allegria totalmente contagiosa, in cui ogni brano sembra un piccolo miracolo fatto in casa: dagli echi Pastels di Down On Me in apertura, alla melodia sfrenata di Eric’s Eyes, quasi da Radio Dept. in versione Sixties (indubbiamente una delle canzoni dell'estate), passando per l’ironia di I Care For You e la dolcezza scarna e sospesa di Every Day Is Another ("Believe me when I say I want you near me / It just hurts too much to keep you around").
Avevamo già incontrato il progetto di Kellen Baker l’anno scorso, tra le "upcoming DIY pop bands" riunite nella compilation Star Charms uscita per Inscrutable Records, e anche se allora mi avevano dato l'impressione di essere più twee, si percepiva qualcosa di così impertinente e diretto nel loro approccio che rendeva i Good Flying Birds decisamente speciali. 
Oltre a una certa ispirazione all’estetica Elephant 6, le influenze dichiarate tra nome della band e titolo del disco mettono assieme Guided By Voices e Heavenly: come dire, due mondi certamente affini ma ben diversi e distanti, dalle due parti dell’Oceano. Ciò che colpisce davvero in questo album è la maniera sfacciata, sardonica e intelligente di renderli complementari, che sia in una cavalcata punk (Wallace), in un fugace sogno fuzz (Goldball), o una furibonda corsa che scioglie l’anima (Pulling Hair).
Anno 2025, l’indiepop è più vivo che mai: sta correndo, sudando e mi tira per la manica invitandomi a ballare. Non posso fare altro che seguirlo, sorridendo.



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