Balloon balloon balloon

Sharp Pins - Balloon Balloon Balloon

I got small
Stepped inside the radio
But I got lonely waiting for your call

Quale significato può ancora avere l’idea di “vintage”, oggi, in quest’epoca dove il presente è un contesto sempre più labile, stremato e diluito tra continui cicli, ricicli e ripescaggi, e dove il passato ha smesso di andarsene da un pezzo? (Scrivere domande del genere da Bologna, ovviamente, richiede un certo spirito.) Nell'evasiva aura del vintage cerchiamo qualche residuo senso di autenticità, un appiglio capace di suggerirci che è ancora possibile resistere alla prova del tempo. Il velo del vintage come filtro estetico per non mettere in discussione nulla.
Cosa pensare allora di Balloon Balloon Balloon, il terzo strepitoso album degli Sharp Pins, il progetto di Kai Slater al di fuori dei già celebrati Lifeguard? Le sue irresistibili canzoni sono letteralmente immerse in un incantesimo fatto di fruscii di nastri, polvere di antiquati giradischi e radio gracchianti. Registrazioni che traboccano sentimentalismo d’altri tempi, sia nella forma (lo-fi, immediata e casalinga), che nel contenuto (amori non dichiarati, amori appena sbocciati, innamoramenti impossibili, nostalgia d’amore eccetera eccetera). Tutto però trattato e curato con un prodigioso equilibrio tra attitudine punk e romanticismo, senza mai risultare stucchevole, con molta grazia e ancora più ingegno. Gli Sharp Pins rivendicano ciò che per altri sarebbe semplicemente estetica vintage, o uno stanco e confuso collage, e lo rivendicano come un territorio nuovo, tutto da conquistare, da riempire di passione intatta e bruciante. Come il migliore indiepop era, ed è, sempre anche un atto politico, così gli Sharp Pins reagiscono alla forzata piattezza contemporanea, evitano il pervasivo svuotamento di senso dell’indie rock nel mercato di oggi, occupano e si appropriano di un passato che nelle mani di altri non potrebbe essere più deleterio e pigro, e lo fanno suonare agguerrito ed emozionante. 
Se dentro Balloon Balloon Balloon ricorrono gli echi, come è stato notato da molti, di Beatles, Big Star e Guided by Voices (ma io aggiungerei pure quelle mille band dimenticate e salvate dalla raccolta Strum & Thrum qualche anno fa) è solo perché Kai Slater sa bene da dove bisogna ripartire per costruire una nuova modernità, indipendente e creativa. “A good song will shine through whatever”.
A questo punto, di fronte a tanta qualità (e in così poco tempo!) diventa quasi secondario stare a disquisire sul significato delle diverse sfumature di riverberi dentro I Wanna Be Your Girl o in Stop To Say Hello; esaminare quale band della British Invasion potrebbe reclamare la parternità di Takes So Long, o andare a caccia di deduzioni sulla perfezione della melodia di I Don’t Have A Heart o Talking In Your Sleep. In fondo, l’approccio di Kai Slater al suono, alla scrittura e alla registrazione, riflette oggi il suo approccio "da fanzinaro" alla musica come comunità (comunità come come scambio, dono, coinvolgimento, difesa, azione, chiamatela come volete), un’idea semplice e sovversiva che non dovrebbe mai diventare vintage ma restare sempre ben viva, preferibilmente a volume molto alto.


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